Foto di Francesco Caboni

Il mondo del pugilato incanta il pubblico sarrocchese con una manifestazione sportiva interregionale di due giornate tenutasi sabato e domenica 15 e 16 giugno e che ha visto sul ring atleti sardi, piemontesi e pugliesi. Pugili di varie categorie, dai più piccini e dalle più piccine sino alla categoria élite.

Sarroch è da sempre un paese dedito allo sport, in tante discipline. In alcune di queste si sono da sempre raggiunti grandi risultati e le vittorie e la costanza nei duri allenamenti costituiscono indubbia fonte di orgoglio anche nei cittadini non praticanti. Questa volta largo al pugilato. Nella meravigliosa cornice della storica villa dei Siotto, nel suo piazzale è stato posizionato un ring dove si sono svolti tantissimi incontri per le qualificazioni.
La boxe è uno sport nobile da combattimento, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, secondo i luoghi comuni che lo etichettano come uno sport violento, ma i suoi atleti sono molto rispettosi delle regole, dell’avversario, degli arbitri e del pubblico. Questo si evince da piccoli particolari evidenti se si osserva bene ciò che accade sul ring: in entrata inchino al pubblico e alla giuria nelle quattro direzioni, se si esagera o si commette una mossa sbagliata e l’arbitro ammonisce o rimprovera ci si scusa. Particolare poi il fatto che gli atleti vincitori abbiano premiato l’avversario battuto mettendogli la medaglia ottenuta in classificazione. Indimenticabili inoltre i larghi sorrisi di vincitori e vinti alla fine di ogni combattimento, e i loro abbracci sportivi e di rispetto.
Sportività è quindi la parola d’ordine, sportività di uno sport sano e saggiamente regolamentato (a tutela degli atleti), che ci ha regalato tanti sorrisi, emozioni, anche una piccola dose di sofferenza o preoccupazione come è normale che ci sia all’interno di una piccola grande prova come questa per uno sport da combattimento.

Per capire meglio cosa possono aver provato questi pugili, a stare sul ring, ho intervistato il quindicesimo pugile della prima serata, Marco Russo, 23 anni, categoria élite 57 chili, di Sarroch.

Marco Russo in una foto di Francesco Caboni

Da quando hai scoperto il pugilato?

« Il pugilato caratterizza da sempre la mia vita perché molti dei miei famigliari erano pugili, compreso mio padre -Umberto Russo-; sin da quando ero bambino ricordo che desideravo ardentemente diventare e poter affermare di essere un pugile ».

Quanti combattimenti e quante vittorie conti nella tua carriera?

«Ho esordito nel 2017. 37 match di cui 18 vinti, 11 pareggi e 8 sconfitte. Ho vito 2 medaglie di bronzo ai campionati italiani».

Cosa pensi dei vizi e delle abitudini malsane che sono purtroppo molto diffuse tra i giovani oggi? Lo sport è un’ottima alternativa?

«Sì perché ti fa allontanare da certe dinamiche che inevitabilmente i piccoli paesi ti portano a vivere. Io mi rendo conto di quanto sia difficile vivere una vita da atleta in contesti come il nostro, in cui magari semplicemente durante un’uscita tra amici si viene incoraggiati a bere qualche birra, o a mangiare certe cose, perché dal loro punto di vista non succede nulla, quando magari hai delle date programmate, una categoria di peso da raggiungere, gli allenamenti e allo stesso tempo vorresti alternare la vita da atleta con quella sociale».

Come fare ad invogliare i giovani a dedicarsi allo sport e alle sane abitudini?

«Prima di tutto penso che debbano avere degli esempi. Sembra facile dire alle persone di fare sport perché fa bene, ma finché non lo proveranno su sé stessi non lo capiranno mai pienamente. Credo che anche la scuola possa fare tanto da questo punto di vista».

Pensi mai se un giorno vorrai diventare istruttore o ti godi semplicemente il momento da agonista?

«Mi sto laureando in scienze motorie, e l’istruttore è una cosa che in realtà già faccio perché ho avuto la fortuna di essere uno dei preparatori atletici di una squadra di calcio di terza categoria con cui abbiamo vinto il campionato. Abbiamo fatto una bella stagione ed è stato interessante interfacciarmi anche in questo mondo. Mi piacerebbe tanto avere dei ragazzi da portare sul ring un domani e in questo modo insegnare loro quello che ho imparato negli anni».

I tuoi famigliari e i tuoi cari ti sostengono? Hanno influenza sull’andamento e il risultato dei tuoi incontri?

«Mio padre ci tiene tantissimo, infatti ogni volta che un incontro non va bene al livello di verdetti un pensiero va sempre a lui perché so quanto ci tiene e dispiace la sensazione di deluderlo. Mi supporta tanto anche la mia fidanzata nello stile di vita che ho scelto di intraprendere».

Entriamo ora nel vivo della manifestazione di sabato 15 giugno. Tutta la platea faceva il tifo per te, è stato un momento bellissimo assistere a tutto il paese unito che ti sosteneva, ma in quel momento cosa provavi? Era più il senso schiacciante della responsabilità, la paura di deludere, o magari la fatica di sostenere i tre round da tre minuti, uniti all’emozione del momento? Con quale intensità hai vissuto l’incontro?

«Non soffro la pressione, ovvero ho una certa esperienza essendo arrivato a quasi 40 incontri e fortunatamente non soffro d’ansia, che una cosa che potrebbe penalizzare tantissimo immagino, però sì: hai tanta paura di fallire nel risultato. Che poi cosa vuol dire fallire? Magari puoi fare una prestazione sottotono per una miriade di fattori e chi c’è in quel momento si ricorderà magari solamente di quello che vedranno e non di tutto quello che c’è dietro.
I pugili non hanno paura di farsi male, anche perché, banalmente parlando, si prendono più pugni in palestra che non sul ring durante un incontro ufficiale. È tutto il contesto che ti può suscitare un po’ di timore: timore di perdere, di fare una brutta prestazione, di deludere le persone che credono in te e che si sono sbattute per venire a vederti, alcuni con diverse ore d’attesa.
Poi è ovvio che tutte queste cose le tengo a mente a prescindere, l’incontro me lo vivo appieno, se stessi lì a pensare a tutte queste cose non riuscirei a sostenere una buona performance.
Ero molto contento, inoltre, di combattere a Villa Siotto, perché è una location fantastica e per me è casa. Ho vissuto tantissimi bei momenti in quel luogo sin da quando ero ragazzino fino ad oggi. Nel corso del tempo ho anche organizzato degli eventi con le associazioni di cui faccio parte -come “Storie di Successo” lo scorso Dicembre- o più semplicemente è un posto in cui vado quando ho bisogno di stare tranquillo e ho spesso la sensazione che lì il tempo si fermi quasi, lo trovo molto rilassante e sono molto contento di aver combattuto lì».

Metaforicamente parlando, dal tuo punto di vista, contro cosa combatte un pugile e qual è la vera vittoria?

«Dipende tutto da cosa vorresti diventare. È una domanda difficile perché chiunque faccia uno sport ha dei sogni. Io per esempio ho sempre desiderato diventare campione italiano, quindi ci ho sempre provato mettendo anche il mio fisico a dura prova (mesi di dieta ferrea ecc.). Il sogno diventa più forte di tutto il resto. Contro cosa combatte un pugile? È difficile da dire perché ogni pugile ha una sua storia personalissima, ci sono persone che vengono da ambienti difficili che sono state letteralmente salvate dalla boxe, per dire.
Personalmente la vera vittoria è poter godere del fatto che le persone riconoscano che io sia un atleta, un pugile, e di godere del rispetto delle persone».

foto di Francesco Caboni

Cosa ti piacerebbe fare nel futuro?

«Io mi impegno tanto nel sociale, cerco di fare più cose possibili oltre al pugilato, mi piace dare una mano d’aiuto dove c’è bisogno, sono una persona molto empatica da questo punto di vista.
Per quanto riguarda la vita, il mondo in cui stiamo vivendo non mi porta a fare piani a lungo termine. Dopo la laurea vorrei fare il preparatore atletico di pugili di élite. Mi piacerebbe vincere anche qualche medaglia d’oro ai campionati italiani, o diventare professionista con qualche cintura importante».

Per concludere, vorresti aggiungere qualcosa sul mondo del pugilato?

«Il pugilato ti crea una tempra incredibile, a partire dal rispetto che ti fa nutrire verso l’avversario, i giudici e gli arbitri, anche se magari capita che sbaglino un verdetto. È raro che un pugile manchi di rispetto all’avversario o alle altre figure con atti antisportivi come può succedere palesemente nel calcio, che è lo sport più seguito. Questo è bello perché poi la calma e l’autocontrollo si riversa anche nella vita privata».

 

di Mara Boi

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