Cos’è il MES e come funziona
di Francesca Matta
È in prima pagina su tutti i maggiori quotidiani italiani e se ne discute nei palazzi della politica da oltre una settimana. Si tratta della riforma del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), un’istituzione europea che ha come primo obiettivo l’aiuto dei Paesi in difficoltà economica. Ad accendere la miccia è stato Matteo Salvini, leader della Lega, nonostante lo stesso processo di riforma abbia ottenuto l’approvazione proprio mentre lui era al governo. L’hanno seguito a ruota Luigi Di Maio, capo politico del M5S, e Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia.
Il nocciolo della questione è sostanzialmente uno: il MES è accusato di essere un meccanismo burocratico che non farà altro che «limitare la nostra sovranità popolare», come sostenuto più volte dai partiti sovranisti. Di Maio sostiene, invece, di non voler «firmare al buio» un accordo di cui si conosce soltanto una parte e, in particolare, si dice poco convinto dell’unione bancaria, perché «l’assicurazione sui depositi va messa a posto».
Cos’è il MES, dunque? Come riportato nel sito istituzionale di riferimento, il Meccanismo Europeo di Stabilità è un’organizzazione intergovernativa dei Paesi che condividono l’euro come moneta con una mission ben definita: aiutare gli Stati in difficoltà economica. È stato creato nel settembre 2012 ed è riconosciuto come un passaggio fondamentale per la costruzione dell’Unione monetaria europea, poiché serve a mettere in comune il denaro di tutti e a usufruirne qualora uno Stato membro abbia gravi problemi economici, che potrebbero influenzare negativamente anche gli altri Paesi membri.
Ad oggi il MES registra una dotazione di 80 miliardi di euro, che vengono pagati dai paesi dell’eurozona in base alla loro importanza economica. Il primo contributore è la Germania con il 27% del capitale; proprio lo Stato tedesco non usufruirà mai degli aiuti, data la sua situazione economica. Ma a rendere il sistema innovativo è la possibilità, previa garanzia degli Stati membri, di raccogliere sui mercati finanziari fino a 700 miliardi di euro. Inoltre, se i Paesi beneficiari degli aiuti delle casse del MES rispettano alcune condizioni, possono ottenere anche l’aiuto illimitato della Bce sotto forma di OMT (Outright Monetary Transactions): un piano che permette l’acquisto senza limiti di titoli di Stato del Paese in difficoltà.
Ma a quali condizioni? Per poter accedere ai finanziamenti, lo Stato richiedente dovrà accettare un piano di riforme che verrà monitorato dalla cosiddetta Troika (il comitato composto da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale). Tra le riforme, il taglio alla spesa pubblica – in particolare alle pensioni – privatizzazioni, liberalizzazioni e maggiore flessibilità delle leggi sul lavoro, per far sì che i conti pubblici siano nuovamente sostenibili. Fino a oggi i Paesi che hanno usufruito dei programmi di aiuto sono Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda.
C’è chi apprezza la riforma, in quanto primo tentativo di unificare economicamente l’eurozona e renderla più solida e solidale, grazie alla Bce che presta denaro a chi non riesce più a ricevere prestiti. C’è invece chi attacca duramente il “compromesso” a cui devono sottostare gli Stati beneficiari: riforme troppo severe, che dovranno essere pagate con lacrime e sangue dai Paesi aderenti.
Ma la riforma del MES tenta di far contenti tutti: sia i Paesi più svantaggiati, sia quelli più stabili economicamente. I primi hanno ottenuto un primo punto a loro favore nella trattativa sul backstop per il Fondo di risoluzione unico, finanziato dalle banche europee per aiutare gli istituti finanziari in difficoltà. Più precisamente, con l’introduzione del backstop il meccanismo potrà finanziare il Fondo di risoluzione fino a 55 miliardi di euro, dando maggiore sicurezza alle banche.
Ma il punto della discordia è un altro e riguarda la “ristrutturazione” del debito pubblico del paese beneficiario del MES, una riduzione concordata del valore del prestito fatto allo Stato. Una riforma che non piace per nulla all’Italia: sono contrari sia Salvini, sia il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, così come il Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, Antonio Patuanelli. Le perplessità derivano dal fatto che i privati che hanno prestato soldi agli Stati più in difficoltà dovranno perdere una parte del loro investimento nel momento in cui verrà dato un pacchetto d’aiuti. Per fare ciò si dovranno emettere obbligatoriamente un certo tipo di titoli di Stato chiamati single-limb CACs. Così si avrà una ristrutturazione attraverso il solo voto dei creditori, senza dover ricorrere a procedure più complesse che riguardano altre tipologie di titoli. Ciò significa che un Paese in crisi potrebbe restituire meno di quello che deve ai suoi creditori. Si teme però che i creditori – conoscendo questa possibilità – possano chiedere interessi più alti ai Paesi che percepiscono più a rischio. Uno dei quali è proprio l’Italia.