Coronavirus in Italia: da Codogno alla “fase due”
Le principali tappe dell’emergenza coronavirus nella Penisola, dal “paziente zero” all’allentamento delle restrizioni, passando per il lockdown
Abbiamo vissuto e stiamo tuttora vivendo un particolare, inatteso, ma soprattutto drammatico momento storico. Per tante, troppe persone, specialmente per coloro che vengono colpite personalmente o negli affetti, si tratta di un vero e proprio incubo. Tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo un’intera nazione si è fermata nel giro di pochissimi giorni, come un treno in corsa arrestato col freno d’emergenza. Due mesi di silenzio, città deserte, la maggior parte degli italiani ha potuto varcare la soglia delle proprie abitazioni solo per lavoro, motivi di salute o comprovata necessità.
Dopo quasi 60 giorni di lockdown, la situazione è nettamente migliorata, anche se i dati riguardanti i casi positivi riscontrati quotidianamente e il numero dei deceduti, che aumenta giorno dopo giorno, sono ancora preoccupanti. Oggi è partita la cosiddetta “fase due”. Un allentamento delle misure restrittive che consente, tra le altre cose, di spostarsi all’interno del proprio Comune nel rispetto delle norme di distanziamento sociale. Si può nuovamente svolgere attività motoria o sportiva a prescindere dalla lontananza dal proprio domicilio; riaprono i parchi, le ville e i giardini pubblici. Si possono incontrare i parenti e i cosiddetti “affetti stabili”che risiedono all’interno della propria regione. Si potranno, inoltre, varcare i confini della regione in cui ci si trova per fare rientro nel luogo di residenza. Ripartono anche la manifattura, i cantieri edili, il commercio all’ingrosso legato ai settori in attività. Si stima che questa mattina siano tornati al lavoro 4,4 milioni di persone.
Ancora sospesa l’attività didattica di scuole e università, la riapertura avverrà presumibilmente a settembre con modalità ancora da stabilire; la prova finale degli Esami di Stato potrebbe svolgersi in presenza, ma la situazione è piuttosto incerta perché molti professori sono contrari al ritorno a scuola nell’immediato. In attesa di nuove disposizioni che hanno come orizzonte la data del 18 maggio, restano chiuse biblioteche, musei e spazi culturali. Più complicata la situazione di teatri e cinema, i cui spazi andranno totalmente ripensati per rispettare le norme sul distanziamento sociale.
Tra le attività di commercio al dettaglio, aperti i negozi che vendono alimentari e prodotti di igiene della persona, edicole, farmacie e parafarmacie, tabaccai, librerie, negozi di vestiti per bambini e neonati, rivendite di fiori e piante. Bar e ristoranti sollevano nuovamente le serrande, ma lavoreranno solo con la consegna a domicilio o con l’asporto.
Le celebrazioni religiose restano chiuse al pubblico, ad eccezione dei funerali, in cui è consentito un numero massimo di 15 partecipanti.
La frase-slogan “Restare a casa” continua a essere un consiglio, ma da oggi si volta pagina. “Manteniamo le distanze” sarà il tormentone delle prossime settimane e, forse, dei prossimi mesi.
Ma come si è arrivati, nel nostro Paese, alla situazione attuale?
Tutto ha inizio il 30 gennaio scorso, quando due turisti provenienti da Wuhan, in Cina, risultano positivi al nuovo coronavirus SARS-CoV-2 (denominato Covid-19 dall’Oms l’11 febbraio) e vengono ricoverati in isolamento presso l’Istituto nazionale per le malattie infettive “Spallanzani” di Roma. Il Governo entra in scena il giorno successivo dichiarando, per sei mesi, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario, dopo l’avviso di “emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale” lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La situazione è sotto controllo, ma il Governo decide comunque di sospendere i voli aerei da e per la Cina; l’Italia diventa così il primo Paese dell’Unione europea ad adottare tale misura precauzionale.
Il primo vero campanello d’allarme suona il 21 febbraio, quando vengono rilevati due focolai di infezioni di Covid-19. Sedici i casi confermati in un solo giorno, 14 in Lombardia e due in Veneto. Un italiano di 38 anni residente a Codogno, in provincia di Lodi, ribattezzato “paziente zero”, manifesta problemi respiratori e risulta positivo; identico esito del tampone per la moglie incinta. Dei due positivi riscontrati a Vo’ Euganeo, in provincia di Padova, un uomo di 78 anni muore il 21 febbraio all’ospedale di Schiavonia di Padova, diventando la prima vittima del coronavirus in Italia. Il giorno seguente una 77enne di Casalpusterlengo è la prima persona a morire in Lombardia, la regione più colpita fin dall’inizio dell’epidemia. Dopo le immediate misure di contenimento disposte dal Ministro della Salute, il Consiglio dei Ministri il 23 febbraio emana il primo decreto-legge per contenere la pandemia isolando dieci Comuni del lodigiano e il Comune di Vo’. Queste zone sono le prime in Italia a subire misure restrittive come la sospensione delle manifestazioni e la chiusura di scuole, musei e alcune attività commerciali.
In pochi giorni il Covid-19 si diffonde anche in alcune province dell’Emilia-Romagna e nelle regioni del Nord. Con il Dpcm 25 febbraio 2020 le restrizioni vengono estese a Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria, con disposizioni principalmente relative a scuole, musei, uffici giudiziari e telelavoro; sospesi, inoltre, tutti gli eventi sportivi, consentito solo lo svolgimento di gare e partite “a porte chiuse”. Negli ultimi giorni di febbraio il contagio coinvolge, seppur in maniera ridotta, anche Toscana, Liguria e alcune regioni del centro e sud Italia. Il 29 febbraio la Protezione Civile certifica 1.128 casi positivi, di cui 50 guariti e 29 morti.
Il 1º marzo un nuovo Dpcm proroga alcune delle misure precedenti e ne introduce ulteriori. L’Italia viene divisa in cinque aree geografiche, distinte in base al livello di emergenza sanitario sul territorio. L’epidemia si diffonde rapidamente, ma è difficile stabilire se i nuovi casi di Covid-19 siano da associare ai primi focolai del Nord. La data del 3 marzo è importante dal punto di vista statistico perché, col primo contagiato in Valle d’Aosta, tutte le regioni italiane registrano come confermato almeno un caso di infezione.
Si apre una settimana “calda” per il Premier Conte e il Consiglio dei Ministri. Nel giro di sei giorni vengono emanati tre decreti che impongono misure sempre più restrittive all’intero territorio nazionale.
Il 4 marzo vengono sospese le attività didattiche in tutte le scuole di ogni grado e università e viene disposto che le partite in tutti gli impianti sportivi nazionali si giochino a porte chiuse. Emanate, inoltre, nuove disposizioni riguardanti l’accesso di parenti e visitatori alle strutture sanitarie e per gli istituti penitenziari e penali per minori.
L’attività del Governo è incessante: nella notte tra 7 e 8 marzo il Presidente del Consiglio emana un nuovo decreto che crea un’unica “zona rossa” costituita dalla Lombardia e da altre 14 province (in Emilia, Piemonte, Veneto e Marche) e vieta ogni spostamento da e per i territori soggetti a restrizione e all’interno dei territori stessi.
Una delle giornate cruciali è quella del famigerato Decreto “Io resto a casa”, emanato il 9 marzo, che estende a tutto il territorio nazionale le restrizioni già imposte in precedenza. L’Italia diventa pertanto un’unica “zona rossa”: bar e ristoranti chiusi alle 18 e lo stop alla Serie A sono solo due delle misure che rendono tangibile il radicale cambiamento che coinvolge la nostra nazione. Da quel giorno, gli italiani possono uscire di casa solo con una valida motivazione; sono inoltre vietati gli assembramenti di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
La nazione vive un fine settimana complicato. La sera di sabato 7 marzo verrà ricordata come quella della “grande fuga” dalle regioni del Nord; una bozza del Dpcm 8 marzo, trapelata sul web nel tardo pomeriggio, causa la partenza di massa di tanti lavoratori e studenti originari del sud Italia verso il Meridione. Presi d’assalto i convogli ferroviari in partenza dalle grandi città del Nord, al fine di evitare di rimanere bloccati nelle zone che sarebbero state poste sotto quarantena nelle ore successive. Per evitare la velocizzazione del contagio nel sud Italia, le regioni del Mezzogiorno impongono controlli e quarantene a tutti coloro che giungono tramite autobus e treni.
Domenica 8 marzo è invece segnata dalla rivolta nelle carceri di tutta Italia, a causa della sospensione di colloqui e visite dei familiari ai detenuti e della limitazione dei regimi di semilibertà. Nel carcere Sant’Anna di Modena e in quello di Rieti muoiono complessivamente 12 persone; inoltre, decine di detenuti rimangono feriti o intossicati negli incendi scoppiati in diversi istituti penitenziari.
Anche la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) prende provvedimenti drastici: annullate tutte le celebrazioni, i funerali si svolgono senza messe e cortei, ammessi alla benedizione in cimitero solo i parenti stretti del defunto. Viene inoltre comunicato che le funzioni pasquali si svolgeranno senza la presenza dei fedeli. Rinviata la tradizionale benedizione delle famiglie.
Il Governo interviene nuovamente l’11 marzo quando, attraverso un Dpcm, sospende le comuni attività commerciali al dettaglio (ad eccezione della vendita di alimentari e beni di prima necessità) e i servizi di ristorazione.
Intanto le cifre crescono in modo esponenziale: il 15 marzo il numero totale dei casi positivi comunicati dalla Protezione Civile sono 24.747, di cui e 2.335 guariti e 1.809 deceduti.
Anche la situazione economica derivante dall’emergenza richiede un immediato intervento del Governo: il 16 marzo viene emanato il Decreto “Cura Italia”. Una manovra da 25 miliardi a sostegno di famiglie, lavoratori e imprese per contrastare la crisi. Le misure contenute nel Decreto riguardano fisco, giustizia, ammortizzatori sociali, lavoro e previdenza sociale, imprese, enti locali e sport.
Il 18 marzo si registra un altro, significativo dato statistico: coi primi casi riscontrati a Isernia, in Molise, si registra almeno un caso positivo al coronavirus in ogni provincia italiana.
L’aggravarsi della situazione dal punto di vista dei contagi costringe il Governo ad un nuovo, perentorio intervento. Nella tarda serata del 21 marzo il Premier Conte annuncia l’attuazione di misure più stringenti, sancite dal Dpcm 22 marzo 2020, che prevedono la chiusura di tutte le attività non ritenute necessarie per la filiera produttiva italiana in relazione alla situazione di emergenza.
Dal 22 marzo, inoltre, una nuova ordinanza vieta a tutte le persone di trasferirsi o spostarsi in un comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute. Si può circolare solo portando con sé un’autodichiarazione; ben cinque le modifiche apportate ai modelli delle dichiarazioni autocertificative, l’ultimo dei quali è stato emesso oggi, in occasione dell’avvio della “fase due”.
Una delle immagini simbolo di questa fase drammatica è lo storico momento di preghiera presieduto da Papa Francesco, il 27 marzo, sul sagrato della Basilica di San Pietro. Il mondo ha rivolto gli occhi verso la piazza completamente vuota, silenziosa, battuta dalla pioggia; momenti suggestivi, emozionanti, forse irripetibili. Il Pontefice ha pregato prima dell’adorazione del Santissimo Sacramento e della benedizione “Urbi et Orbi”, alla quale è stata annessa la possibilità di ricevere l’indulgenza plenaria. Le celebrazioni a porte chiuse sono poi proseguite in occasione della “Domenica delle Palme”e dalla Settimana Santa, culminata con la celebrazione della Pasqua. Le misure restrittive adottate per l’intera nazione sono state infatti ulteriormente prorogate fino al 13 aprile e successivamente fino al 4 maggio con due nuovi Dpcm.
Una delle date più significative dell’epidemia di coronavirus in Italia è quella del 19 aprile, quando si è raggiunto il picco con 108.257 casi certificati di positività al Covid-19; quel giorno il numero dei decessi ha raggiunto la cifra di 23.660. Quella che può essere considerata la data della svolta è il 26 aprile, quando il Premier Giuseppe Conte annuncia il nuovo Dpcm in vigore da oggi, che stabilisce un graduale allentamento delle precedenti misure di contenimento, essendo la curva epidemica in fase di discesa.
Negli ultimi due mesi, gli italiani hanno trascorso la maggior parte del proprio tempo in casa e hanno rivoluzionato le proprie abitudini. Videolezioni per gli studenti, teledidattica per i bambini. Leggere un libro, guardare un film, ascoltare musica e persino i “riscoperti” giochi di società sono stati i passatempo preferiti dagli italiani in questo periodo di permanenza forzata nelle proprie abitazioni. Senza dimenticare l’importanza di web, social network, radio e TV, i principali canali di socializzazione e di informazione durante il lockdown. E proprio la televisione ha dovuto adattarsi e modificare pesantemente i palinsesti: più spazio all’informazione a scapito di alcuni programmi di intrattenimento.
Alle 18 l’appuntamento fisso di molti italiani è quello col bollettino emesso dalla Protezione Civile, che da qualche giorno viene diffuso soltanto via web: ad oggi sono 211.938 i casi totali di positività al Covid-19 in Italia dall’inizio dell’epidemia; tra questi, 81.654 guariti e 29.079 deceduti. I soggetti positivi sono attualmente 99.980: 1.479 ricoverati in terapia intensiva, 16.823 ricoverati con sintomi e 81.678 in isolamento domiciliare. La regione più colpita è la Lombardia, seguita da Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto.
Va comunque precisato, come più volte dichiarato dal Capo Dipartimento Angelo Borrelli, che i numeri comunicati dalla Protezione Civile non tengono conto della distinzione dei deceduti “con” il coronavirus o “per” il coronavirus. I dati potranno pertanto essere confermati solo dopo che l’Istituto Superiore di Sanità avrà stabilito le cause effettive dei decessi. È importante sottolineare il continuo aumento del numero dei tamponi effettuati, che ad oggi raggiungono la cifra di 2.191.403 su 1.479.910 casi testati.
Le statistiche fornite dalla Protezione Civile, aggiornate al 29 aprile, parlano di un’età media di 79 anni per quanto riguarda i deceduti; il 38% sono donne. Per quanto riguarda le patologie pregresse, il 3,8% dei positivi erano in precedenza soggetti sani, il 14,5% sono stati ricoverati con una patologia, il 21,4% con due e ben il 60,3% con tre.
Gli ospedali del Nord, dopo una lunga fase in cui sono stati vicino al collasso, vivono ora una situazione più tranquilla. Nella fase calda, tantissimi medici e infermieri hanno prolungato il proprio orario di lavoro per fronteggiare l’emergenza. I medici morti fino a questo momento sono 154: un dato di difficile lettura che comunque certifica la difficoltà, o forse addirittura l’impossibilità per gli operatori sanitari di lavorare in condizioni di totale sicurezza e di mettersi al totale riparo dall’aggressivo Covid-19.
Mantenere le distanze interpersonali e utilizzare le mascherine, specialmente in ambienti chiusi; evitare strette di mano e abbracci; lavarsi spesso le mani; evitare di toccarsi bocca, naso e occhi con le mani; utilizzare un fazzoletto usa e getta per bocca e naso se si starnutisce o tossisce o usare la piega del gomito; evitare i contatti ravvicinati e mantenere sempre la distanza di un metro con tutti; arieggiare le stanze il più possibile se si è con altre persone; evitare l’uso promiscuo di bicchieri o bottiglie; pulire le superfici e oggetti con disinfettanti. Questi i consigli dispensati dal Ministero della Salute per evitare il contagio e arrestare il coronavirus.
Dopo le misure entrate in vigore oggi, la prossima data di riferimento è il 18 maggio. È infatti prevista l’apertura di musei, mostre e luoghi culturali all’aperto, oltre che degli esercizi commerciali al dettaglio, con ingressi contingentati. Il 1° giugno dovrebbe essere infine consentita l’apertura di bar, ristoranti, parrucchieri e centri estetici che saranno completamente rivoluzionati per quanto riguarda le misure di distanziamento sociale.
La curva dei contagi è in netto calo ovunque, ma non è opportuno abbassare la guardia. In questa nuova fase in cui ognuno di noi può riprendere, a piccole dosi, a vivere all’aria aperta, si chiede a tutti di seguire i consigli degli esperti: solo mantenere le distanze oggi potrà consentirci di raggiungere prima possibile il giorno in cui torneremo ad essere vicini.
Luca Pes