La magia del Circo Paniko
Durante le festività natalizie il collettivo di artisti si è esibito nel caratteristico tendone a spicchi gialli e blu allestito ad Assemini
Circo Paniko nasce nel 2009 ed è un collettivo composto da circa trenta artisti. È un circo “alternativo”, senza animali, ideato da artisti non discendenti da famiglie del circo tradizionale. Una delle peculiarità è l’accesso senza biglietto e la possibilità, al termine dello spettacolo, di donare un’offerta libera e consapevole.
In Italia è la compagnia di circo contemporaneo più numerosa: può infatti contare dai 12 ai 20 artisti provenienti da diverse parti del mondo. Negli spettacoli vengono fuse e amalgamate diverse tecniche circensi, musica, teatro, danza e ginnastica acrobatica.
Il Collettivo Paniko è dotato di un tendone da circo con audio e luci e diversi allestimenti per gli spettacoli. È inoltre dotato di mezzi per il trasporto e l’alloggio dei suoi componenti.
E proprio tra queste “abitazioni” siamo andati ad incontrare due artisti del Collettivo: Federico Bassi e Andrea Niccolai. Durante la chiacchierata abbiamo parlato della loro vita e delle loro storie.
Come nasce l’idea del Circo Paniko?
Federico: «Wow, domandone! Cercherò di essere breve. Circo Paniko nasce da un incontro di persone, di anime che hanno scelto la strada come palcoscenico. Uomini e donne che hanno cercato un modo alternativo per trasformare il proprio tempo in espressione artistica, in un periodo dove non è così facile fare una scelta artistica di questo tipo».
Nel 2019 avete festeggiato il vostro decennale.
Andrea: «Sì, nasciamo nel 2009 dopo un viaggio per un progetto che partiva dall’Italia e arrivava a New Delhi. Siamo partiti in camper e abbiamo cercato di portare in giro l’arte di strada come strumento per favorire un maggiore dialogo e una maggiore conoscenza tra popoli. Questo viaggio e questo dialogo sono stati meravigliosi, le persone incontrate hanno reso questa esperienza una festa e le hanno dato una potenza incredibile. Così, tornati in Italia, abbiamo pensato di continuare ad usare questi strumenti e di investire in questo ambito; dopo poco tempo abbiamo acquistato la nostra prima tenda».
La vostra è una storia molto affascinante. In genere siamo abituati a conoscere famiglie con tradizioni circensi, invece mi pare che voi non abbiate tradizioni in questo senso.
F.: «Sì, nessuno di noi ha tradizioni in questo senso. Anzi, spesso le nostre vite erano occupate da altro; io, per esempio, sono laureato in Pedagogia. All’inizio non avevo idea di cosa fosse il circo e non immaginavo che poi sarebbe diventata la mia strada. Avere la fortuna di incontrare il linguaggio del circo ad un certo punto della mia vita, per me, è stato avere un confronto nelle diversità: oltre a quella tra popolazioni differenti, anche quella tra esseri umani.
Ho lavorato molto a contatto col disagio sociale e con le diversità in genere e allora ho capito che la mia voglia era quella di unire mondi. La domanda principale era: «Ma io sono qui per normalizzare qualcuno?». E riconoscendo anche la mia follia, ho pensato: «Dove sta la normalità? Far attraversare la strada più velocemente ad una persona che cammina con difficoltà o rallentare le macchine?». Sono arrivato alla conclusione che forse la normalità sta nel mezzo, perché in uno stesso tratto di strada posso incontrare il bello e il brutto, il povero e il ricco o ancora tutte le diversità possibili. Individualità che in un attimo, quello in cui sono al circo, ridono o piangono della stessa cosa».
Il circo come modo di vivere, quindi.
F.: «Noi oltre ai nostri spettacoli portiamo in giro un esempio di come si può vivere in maniera alternativa. Siamo nomadi, abbiamo fatto questa scelta perché il nomadismo ci obbliga a non avere troppe carabattole e ci consente di arrivare a quelle che sono le cose importanti nella vita».
A.: «Il nome “Paniko” deriva dall’idea di seminare il panico in senso positivo, azzerando le differenze sociali, culturali, economiche tra le persone. L’obiettivo è provare a essere tutti uguali durante gli spettacoli e stupirsi con la stessa freschezza di ciò che avviene sotto la tenda.
F.: «È lo stesso motivo per cui ci ritroviamo a sperimentare da parecchio tempo l’“ingresso libero e consapevole”. Abbiamo scelto di non porre alcuna barriera all’ingresso e lo facciamo perché vogliamo che ogni persona, a prescindere da quanti soldi ha, deve poter entrare a godere di un nostro spettacolo».
Cosa ci si deve aspettare andando ai vostri spettacoli?
A.: «La cultura di oggi è massificata: ci sono i format, le serie, i grandi reality. Quello che invece riesce a portare il circo contemporaneo, più di quello tradizionale, è l’imprevisto. Noi cerchiamo di fondere diverse tecniche artistiche: la musica, l’acrobatica, la clowneria in un modo sempre nuovo e imprevedibile».
F.: «Il nostro circo è molto irriverente ed è per questo che ci permettiamo di prendere un classico come la “Divina Commedia” e provare a giocare, sotto il nostro tendone, in chiave comica e moderna. Cerchiamo non solo di divertire, ma anche di far riflettere».
Il vostro è un circo alternativo, diverso dal tradizionale, autofinanziato, senza animali. Cos’è ancora Circo Paniko?
F.: «È un collettivo in espansione, è follia allo stato puro, è poesia, è musica dal vivo. 17 bambini che corrono allegri, quattro camion, cinque picchetti, 2000 kg di carrello, un tendone giallo, un pavimento da 1500 kg, gradinate in legno. È retró come uno swing, è moderno come una elettrocumbia. Il circo è accoglienza, noi veniamo accolti e cerchiamo l’accoglienza. La vita è in strada, non nelle case, vogliamo essere un pretesto per riappropriarci di questa cosa. Spesso ci succede di scegliere dove andare e alcune volte la scelta ci porta dove c’è poco. Ci è capitato di stare a Sassari in un quartiere disagiato, multietnico e colorato. Sotto il tendone avevamo la signora della Sassari bene, con una borsetta firmata, e mezza comunità rom. Una mamma rom era seduta di fianco alla signora sassarese. All’inizio si son guardate in modo un po’ strano e la signora stringeva la borsetta a sé. Alla fine hanno riso insieme dello stesso spettacolo e poi hanno anche chiacchierato, magari in strada questo non sarebbe accaduto. Per noi questo è abbattere le barriere ed è quello che vogliamo fare».
Quando ho chiamato per organizzare questa intervista, ho chiesto ad Andrea con chi avrei potuto parlare. Immaginavo che, essendo una struttura complessa, ci fosse una sorta di scala gerarchica. Andrea mi ha detto che non c’è alcun “responsabile”, quindi mi sono chiesta e vi chiedo: Come fate? Chi decide cosa fare e quando farlo?
F.: «Diciamo che non c’è una scala gerarchica, cerchiamo di fare in modo che tutte le decisioni vengano condivise. I ruoli di responsabilità, per attitudine, vengono ricoperti da determinate persone, anche a piccoli gruppi. C’è chi crea uno spettacolo, chi decide cosa acquistare, chi si occupa delle strutture».
A.: «Per questo noi ci teniamo a definirci come “Collettivo Circo Paniko”, perché nasciamo con l’idea di essere il più “orizzontali” possibile. Non ci sono persone che in una votazione hanno un valore maggiore di altre o che si impongono nel prendere una decisione».
F.: «Aggiungo che siamo un “collettivo aperto” perché negli anni il gruppo si è arricchito di tante persone che vanno e vengono, a seconda dei progetti e dei contenuti, ma anche delle possibilità di ognuno e delle proprie esigenze. Non c’è un provino per entrare al Circo Paniko, c’è solo una coincidenza di eventi che fanno in modo che determinate persone si incontrino e stiano bene insieme. Non vogliamo che ci siano disarmonie che si ripercuotono nello spettacolo. Il nostro è uno sforzo quotidiano in tal senso».
Voi come vi formate? Andrea fa il grafico, quindi immagino abbia una esperienza pregressa in questo senso.
A.: «Sì, io ho fatto l’Accademia di Belle Arti, però non abbiamo tutti la stessa formazione. C’è chi si forma nelle scuole, chi lavorando sulla piazza, anche questo è circo. Gli spettacoli non nascono perfetti o “chiusi”, ma vengono arricchiti dalle interazioni col pubblico, dalle sue reazioni».
E invece Federico? Cosa fa al Circo Paniko?
F.: «Io sono acrobata, equilibrista ma anche attore, musicista, ogni tanto meccanico. Inoltre pago i committenti, faccio bonifici e tanto altro. Come diceva Andrea, la nostra formazione è trasversale».
Salutiamo Andrea e Federico chiedendo loro quali sono i progetti futuri. Gireranno ancora l’Italia e l’Europa, noi ci auguriamo di poterli nuovamente accogliere e di poter vivere ancora la magia del Circo Paniko.
Jessica Mostallino