La poesia improvvisata in Sardegna

Antica gara poetica a Sassari. Foto Sardegna Digital Library

di Carlo Manca

 

La poesia improvvisata è un fenomeno diffuso da tempi immemori in tutte le aree del mondo. Che venisse usata per mantenere viva la memoria di eventi epici passati, per ricordare una genealogia o per allietare i momenti di festa con delle gare poetiche, quel che è certo è che parliamo di un aspetto della vita sociale a cui nessun popolo ha mai rinunciato.

Gli anziani di Sardegna ricordano il ruolo primario assegnato alla poesia e tradizione vuole che in passato i capi venissero scelti anche sulla base delle loro capacità poetiche.

Le prime attestazioni documentate risalgono al sacerdote Salvator Vidal, che nella sua opera Urania Sulcitana (1638) parla di un verso ennino ereditato da una fonte del XII° secolo, fatta risalire a sua volta al poeta classico Ennio.

Nei secoli successivi diverse testimonianze in particolare di intellettuali e funzionari francesi e inglesi descrivono anch’essi un ruolo centrale per la poesia e per i principali poeti. Arrivando al Novecento è doveroso citare almeno l’opera del celebre glottologo tedesco Wagner, che nel 1906 pubblica La poesia popolare sarda, seguito dagli studi di grandi intellettuali come Nataletti, Cirese e Carpitella per arrivare ai recenti lavori di Lortat-Jacob, Paolo Bravi e Marco Lutzu.

In generale la poesia improvvisa è stata ed è tuttora un fenomeno di grande rilievo che ha attirato l’attenzione dei più fini osservatori. Nonostante la crisi degli ultimi tempi è ancora un fenomeno molto sentito e attualmente in Sardegna si svolgono ogni anno circa duecento gare pubbliche.

La Sardegna ad oggi vanta quattro diverse tradizioni di poesia improvvisata. La più nota è sicuramente quella a otadas, cantata in logudorese e diffusa in tutto il centro nord dell’isola. Nella parte centrale è ancora presente anche la gara a mutos, anche se oggi poco praticata.

Il sud è invece teatro di altre due importanti tradizioni, quella a mutetu longu e a s’arrepentina.

Ogni tradizione, in Sardegna come nel resto del mondo, è sempre accompagnata da uno strumento o da un piccolo coro. Nel caso isolano, in quanto parliamo di gare poetiche, is cantadoris non recitano mai soli, ma sono sempre almeno due.

La prima gara “ufficiale” a otadas si tenne a Ozieri nel 1896, ma attestazioni più antiche ci portano molto più indietro. Le gare fino a pochi decenni fa rappresentavano un momento molto sentito, erano spesso il momento clou delle feste paesane, e almeno dal ‘700 si trascrivevano i versi durante le gare per poi stamparli e rivenderli. I poeti più capaci erano ben conosciuti in tutta l’isola e avere un poeta da palco in famiglia o in paese era un grande vanto.

La poesia improvvisata in Sardegna non è da confondere con la poesia popolare, fenomeno ugualmente diffuso ma che comprende versi e ritornelli sempre uguali e molto noti. Esempi sono le tante trallalleras o le brevi filastrocche per bambini.
La poesia improvvisata da palco ha una dignità propria che è stata riconosciuta da eminenti personaggi della cultura, sia contemporanei che dei secoli passati.

Un grande studioso del Novecento, Alberto Cirese, approcciandosi a queste tematiche ha ripreso la distinzione proposta da Gramsci tra cultura tipica delle classi egemoniche e quella delle classi subalterne. In Sardegna però, come ha fatto notare un altro grande intellettuale, il francese Bernard Lortat-Jacob, la poesia improvvisata è considerata un’espressione culturale “alta”, per certi versi egemonica, dotta e trasversale. Appartiene al popolo sardo tutto tanto che ancora oggi ritroviamo poeti di ogni estrazione sociale. E se la poesia rappresenta in generale il vero cuore della letteratura, nel caso della lingua sarda il culmine viene raggiunto proprio con la poesia improvvisata.

Questa, se da una parte è tenuta al rispetto di determinate forme metriche, si differenzia da quella scritta per il peso del suono rispetto al verso. Nell’oralità la metrica si adegua al suono.

È bene sottolineare che nella poesia tutta il suono riveste una grande importanza, tale che, citando ancora una volta una riflessione di Cirese, la poesia non è altro che suono scritto.

Chiunque potrebbe riconoscere una poesia in qualsiasi lingua e ogni versificazione segue sempre il doppio binario del senso e del suono.

Prima di iniziare l’analisi delle quattro tradizioni è necessario introdurre i concetti di mutos e muteus, una famiglia di forme metriche tipiche della Sardegna.

Le forme più semplici sono formate da quattro o sei versi, divisi in una prima parte di introduzione chiamata sterrina, e una seconda parte che esprime il vero significato, detta cubertanza.

Quando i mutetus vengono cantati si eseguono una serie di torradas, nelle quali si espone un verso della sterrina e l’intera cubertanza invertendo in vario modo l’ordine dei versi. 

Sterrina e cubertanza non sono mai legate dal significato, al contrario trattano sempre temi diversi. Mutos e mutetus possono essere eseguiti con varie melodie e prevedere ritornelli come trallallera ecc.

 

CENTRO NORD SARDEGNA

– OTADAS

La modalità di gara attualmente più diffusa e apprezzata nell’isola è quella detta a otadas, praticata nel centro nord e cantata in lingua logudorese. Questa si svolge tra due o tre poeti, normalmente scelti tra i migliori in circolazione, ai quali viene assegnato sul momento un tema da difendere, spesso a contrasto. Ad esempio terra, cielo e mare o potere materiale e potere spirituale.
L’abilità di ogni poeta consiste, oltre che nelle rispettare le rime, nel difendere il proprio argomento. E per farlo al meglio ogni poeta durante l’anno deve leggere, studiare e informarsi su molte tematiche. Alla fine della gara non c’è una vittoria ufficiale, se i poeti avranno portato buoni argomenti il pubblico sarà soddisfatto e avrà vinto la poesia.

Un elemento da non sottovalutare è proprio il pubblico, composto spesso da appassionati competenti ed esigenti. Buona parte di loro ricorda a memoria le principali gare del passato e sarebbe impensabile per un poeta cercare di far bella figura ripetendo versi usati in altre occasioni.

Il buon poeta oltre che preparato deve essere fantasioso e mai banale, trovando di volta in volta immagini e metafore sempre nuove. Ma ancora più importante è lo sviluppo logico e l’argomentazione del tema.

La gara si articola in diverse fasi: dopo qualche otadas di esordio, solitamente dedicate al saluto, inizia la sfida tra i poeti. Alla prima fase, con un tema genericamente serio, di concetto, ne segue una seconda con tema più leggero e allegro, tipo moglie brutta e ricca contro bella ma povera.

L’otada in sé è composta da un distico A-B non fisso che si chiude con due versi CC. I poeti sono accompagnati dal tenore, un coro a tre che interviene brevemente al 1°, 2°, 4°, 6° e 8° verso.
Finiti i due temi si chiude con duinas, batorinas e unu sonete, spesso dedicato al santo locale. Le duinas sono ottave dove i poeti si dividono due versi a testa, mentre le batorinas sono quartine con rime obbligate ABBA.

 

– MUTOS

La seconda tradizione in lingua logudorese, o meglio in limba de mesania, è la cosiddetta a mutos o mutos di montagna. Tra le quattro tradizioni è la minore e quella che corre il più alto rischio di sparire con i suoi ultimi poeti, ormai molto anziani. Resiste ad oggi in un territorio limitato nei pressi di Belvì, Tonara, Laconi e Desulo.

La poesia si svolge anche in questo caso con temi a contrasto ma i poeti questa volta sono accompagnati da un organetto diatonico. La forma metrica utilizzata, molto complessa, è una particolare tipologia di mutu che prevede una isterrimenta (sterrina) di molti versi con rime sempre diverse a cui segue una seconda parte, s’amontu, con le stesse rime della prima parte ma proposte al contrario, dalla prima all’ultima. Si chiude con s’arretrogu, che ripete quasi tutto s’amontu iniziando però con il secondo verso dell’isterrimenta e invertendo gli ultimi due versi dello stesso.

 

CONSIDERAZIONI

Nei mutos e nelle altre tradizioni del sud emergono soprattutto le capacità mnemoniche dei poeti. Le riflessioni però sono di spessore nettamente più basso rispetto alle gare a otadas, le quali, tecnicamente più semplici, permettono ai poeti di argomentare i temi in profondità.

Personalmente ritengo questo un aspetto di grande importanza perché, oltre all’aspetto ricreativo, le gare a otadas rappresentano per il pubblico anche un’occasione di approfondimento su grandi temi filosofici, morali o di attualità, contribuendo a formare un’opinione ragionata e non superficiale.

Nel passato l’aspetto formativo era molto rilevante e durante il fascismo le gare furono addirittura proibite. La censura fascista, appoggiata dal clero, diede un duro colpo alla diffusione della poesia improvvisata, rischiando di far sparire per sempre questa importantissima tradizione. Fortunatamente le gare continuarono in segreto e pian piano ripresero il loro ruolo da protagonista nelle piazze dopo la caduta del regime.

Durante tutto il dopoguerra si sono alternati nei palchi grandi nomi, tra cui Barore Tucone e Remundu Piras, protagonisti di gare che si ricordano ancora oggi. Dopo di loro fu il momento del famoso trio composto da Bernardu Zizi, Mariu Masala e Antoni Pazzola, attivo fino a pochi anni fa. Attualmente questa tradizione, nonostante la generale crisi della poesia improvvisata, si mantiene ancora forte e molto sentita. Tra i protagonisti di oggi, oltre all’ogliastrino Bruno Agus, sono sicuramente da nominare almeno Salvatore Ladu, Celestino Mureddu e il giovane talento Giuseppe Porcu. 

 

SUD SARDEGNA

Come nel caso del centro nord anche per il sud dell’isola le fonti storiche sono concordi nel riconoscere un’ampia diffusione del fenomeno sin dai tempi più remoti.

 

– SA CANTADA CAMPIDANESA

Per quanto riguarda le gare ad oggi la tradizione più diffusa è sa cantada campidanesa eseguita secondo sa règula poètica. Questa, detta anche a mutetu longu, venne definita attorno al 1903 da un gruppo di poeti allora emergenti tra i quali Loddi, Loni e Farci, e a partire da allora ha sostituito gradualmente le tradizioni precedenti.

Su mutetu longu fu pensato e reso tecnicamente difficile sia per dimostrare la propria competenza ma anche per escludere dal giro de is cantadoris mannus i tanti poeti minori che a quel tempo affollavano la scena poetica.

Il nuovo format non fu accolto da subito, nessuna delle tradizioni precedenti seguiva questo schema e quando fu proposto molti dei poeti più anziani lo rifiutarono.

Fatta questa doverosa introduzione passiamo alla descrizione della gara. A differenza delle altre tradizioni in questo caso troviamo quattro poeti accompagnati da un piccolo coro a due noto come basciu e contra. Uno dei poeti presenti, spesso il più esperto, viene nominato fundadori. Egli sarà il primo ad intervenire e sarà colui che deciderà s’argomentu, il quale, sotto metafore, dovrà nascondere unu fini. Questo fini, il vero tema su cui verterà la serata, può essere dichiarato subito (fini obertu) ma più spesso non viene dichiarato (fini serrau) e gli altri poeti, man mano che la gara va avanti, avranno il compito di indovinarlo.

Normalmente ogni intervento si compone di dieci versi, otto detti sterrina e gli ultimi due cubertanza, i quali contengono il vero significato dell’intervento. I due versi di cubertanza sono composti generalmente da quattro parole ciascuno che devono rimare, secondo uno schema chiamata a schina ‘e pisci, con ognuno degli otto versi della sterrina. Successivamente si eseguono otto torradas di quattro versi, composte al primo giro dal primo verso di sterrina, dai due di cubertanza e dal secondo di sterrina; il secondo giro inizia con il secondo verso di sterrina, continua con i due di cubertanza e termina con il terzo di sterrina e così via. Ad ogni giro l’ordine delle parole nei versi di cubertanza cambia in modo da onorare di volta in volta la rima con i versi di sterrina, secondo una pratica detta arretroga. Durante l’esibizione inoltre avviene s’intrecciu tra i poeti, il primo dialoga con il terzo ed il secondo con il quarto. La prima parte della gara si chiude su selliu, ossia l’ultimo giro.

La seconda parte, tecnicamente molto più semplice, è nota come versada ed è composta da quartine con due versi di sterrina e due di cubertanza, con rima ABBA. Normalmente tratta temi leggeri e divertenti ed è spesso accompagnata dalla chitarra.

Dopo la versada a volte si esegue anche sa cantzoni a curba, un componimento di genere narrativo o satirico non improvvisato anch’esso accompagnato dalla chitarra.

La particolarità di questo componimento è che ogni verso viene diviso in due parti dette emistichi e la seconda parte di ogni verso rima con la prima parte del verso successivo, ovvero il secondo emistichio del primo verso rima con il primo emistichio del verso successivo. Di conseguenza quando viene trascritta la poesia avrà rime “interne” al verso. Questa esecuzione, all’apparenza molto complessa, risulta invece facilmente comprensibile ascoltando una qualsiasi esecuzione dal vivo.

 

– CANTADAS A TEMA

Una variante delle cantadas campidanesi è quella cosiddetta a tema. In questo caso ognuno dei poeti interpreta un personaggio in una sorta di commedia improvvisata oppure difende un tema.

Alcuni esempi possono essere padre laborioso e figlio pelandrone, madre spendacciona e figlia civettuola ecc, con tutte le varianti del caso. Queste cantadas, spesso molto divertenti, si avvicinano molto allo schema a otadas logudorese.

In questo caso i versi di sterrina seguono lo stesso argomento dei due di cubertanza e scompare il ruolo di regia de su fundadori.

 

– S’ARREPENTINA

L’altra tradizione in campidanese, diffusa in particolare nella zona a sud di Oristano, è nota come s’arrepentina. Questa è molto meno praticata rispetto a su mutetu longu ma negli ultimi anni sta vivendo una seconda giovinezza grazie ad un gruppo di poeti emergenti che la sta riproponendo e valorizzando come merita.

Come nel caso delle gare a otadas e delle cantadas a tema, anche in questo caso ogni poeta riceve in sorte un tema che dovrà difendere durante la serata. A differenza delle altre due tradizioni però la poesia a s’arrepentina non è accompagnata da un coro ma da una fisarmonica.

La particolarità di questa tradizione è che, come nel caso delle canzoni a curba, le rime si trovano all’interno del verso successivo e non alla fine.

Anche in questo caso quindi i versi sono divisi in due parti detti emistichi e la seconda parte di ogni verso (secondo emistichio) rima con la prima parte del verso successivo (primo emistichio).

Lo schema generale di gara è simile a quello a otadas: si inizia con un esordiu, utilizzato per i saluti, si procede con la fase di disputa sui temi a cui segue una lunga currentina cantata a duinas che precede i saluti finali, anche in questo caso di norma dedicati al santo patrono.

Durante la fase di disputa il poeta inizia con una currentina, prosegue con varie arrepentine e conclude tornando ad una currentina.

Per apprezzare la difficoltà tecnica propria di questa tradizione è necessario conoscere le forme metriche utilizzate durante le varie fasi della gara.

Queste sono un mutetu a frori o a coa longa per l’esordio, currentine e ovviamente arrepentine per le altre fasi. In particolare:

• su mutetu a frori è composto da tre versi di sterrina e tre di cubertanza con rime ABCCBA; nelle gare vengono recitati la sterrina e poi tre quartine composte da uno dei tre versi di sterrina e dai tre di cubertanza il cui ordine viene modificato ogni volta per onorare le rime tra il primo e il quarto verso;

• su mutetu a coa longa ha lunghezze di sterrina e cubertanza variabili e primi quattro versi di sterrina rimano nei quattro emistichi dei primi due versi della cubertanza; a questo segue sa coa, cioè tanti versi quanti sono quelli della sterrina ancora non onorati da rima;

• sa currentina, normalmente un doppio settenario di lunghezza variabile con rime alternate ABAB;

• s’arrepentina a sa dereta, doppio settenario con rima interna, dove il secondo emistichio rima con il primo del verso successivo;

• s’arrepentina arretrogada, doppio settenario con rima interna, dove il secondo emistichio rima con il primo del verso successivo ma dove le parole del primo emistichio del primo verso vengono ripetute con ordine diverso nel primo emistichio del verso successivo; l’arretroga conosce anche varianti più complesse come quella nella quale anche le parole del secondo emistichio del primo verso vengono riutilizzate nel primo emistichio del terzo, che come negli altri casi dovrà rimare con il secondo emistichio del verso precedente.

In questi casi è evidente che siamo davanti ad una sfida nella sfida, i poeti infatti si confrontano non solo sui temi ma anche sulla complessità delle forme metriche utilizzate.

 

CONSIDERAZIONI FINALI

In generale si può affermare che la più antica e semplice forma di poesia improvvisata è quella a quartine, conosciuta nell’area di parlata logudorese come batorinas e nel sud come versada.

Da questa probabilmente derivano tutte le altre, che pian piano si sono sviluppate in tradizioni indipendenti. Come la lingua infatti anche la poesia è viva e si adatta ai tempi ed ai gusti.

Nella tradizione a otadas per esempio si eseguiva una parte finale tecnicamente molto difficile conosciuta come sa moda, che gradualmente fu sostituita da un più semplice sonete in onore del santo patrono.

Gli appassionati dei tecnicismi probabilmente hanno faticato ad accettare il cambiamento ma nel complesso ne ha giovato la profondità con cui vengono discussi i temi, aumentando la funzione educativa e morale dell’esibizione.

Attualmente nel modo della poesia si stanno affrontando vari dibattiti, uno su tutti quello sulla lingua, e non è escluso che nei prossimi tempi assisteremo a nuovi modelli, magari unificati e condivisi.

La stessa cosa è successa non molto tempo fa in realtà affini alla nostra ed i notevoli risultati ottenuti fanno ben sperare per il futuro della poesia anche in Sardegna.

 

 

Un pensiero riguardo “La poesia improvvisata in Sardegna

  • 1 Settembre 2024, 14:56 in 14:56
    Permalink

    Gratzias po s’ispiegatzione. Apo imparau de pagu tempus a faer s’arrepentina arretrogada e cussa dereta. Faia zai poisia a otadas, a cuartinas e a tertzinas. Su soneto ddu fatzo ma non mi agradat meda.
    Torro gratzias a totus

    Risposta

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