Unifil, così non va


Mezzi Unifil nelle strade libanesi. Foto Unifil



La missione internazionale che opera nel sud del Libano mostra ormai limiti evidenti ed è tempo per i governi di adeguare il mandato.

A partire dal 7 ottobre 2023, giorno della strage degli oltre mille giovani israeliani, le attività di Hezbollah si sono fatte sempre più intense e la ripresa delle ostilità con Israele è stata l’ovvia conseguenza.

I militanti di Hezbollah hanno iniziato a sfruttare gli spazi attorno alle strutture Onu per lanciare attacchi contro Israele sperando di garantirsi così una certa sicurezza. Nelle ultime settimane però la tensione è salita al punto che Israele non si è fatto scrupoli nel rispondere, colpendo più volte anche alcune strutture perimetrali. In altre occasioni invece sono stati gli stessi militanti di Hezbollah, ufficialmente per errore, ad attaccare le basi.

In questi attacchi sono rimasti feriti diversi militari Onu, tra cui anche quattro sardi. Hezbollah in realtà considera Unifil come uno strumento creato e controllato dagli Stati Uniti per gestire meglio i propri interessi nella regione e se potesse attaccare impunemente probabilmente non esiterebbe a farlo. 


Mezzi Unifil in Libano. Fonte Unifil

Dal punto di vista israeliano la missione Unifil è stata un fallimento perché non è riuscita a tenere le armi di Hezbollah fuori portata. E se da una parte l’Idf sta inseguendo i terroristi distruggendo letteralmente interi paesi e città, con un numero di vittime totali che si aggira sui 45 mila, dall’altra parte i militanti islamici non stanno certo a guardare e proprio dal Libano partono ogni giorno razzi in direzione Tel Aviv.


Il premier Benjamin Netanyahu. Foto Al Jaseera

Le proteste internazionali contro gli attacchi alle basi Onu non sono mancate ma Netanyahu viene criticato sempre più fermamente anche per come sta conducendo le operazioni nei confronti della popolazione civile.

Il 21 novembre 2024 la Corte penale internazionale, recependo le tantissime denunce, ha spiccato un mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità commessi dal governo di Israele dopo il 7 ottobre 2023 a carico dello stesso premier Netanyahu e del suo ex ministro della Difesa, Yoav Gallant.

La Corte penale internazionale attualmente è sostenuta da 124 stati ma tra questi non figurano importanti paesi tra cui Usa, Russia o Cina. Israele non è tra i paesi sostenitori, non riconosce l’autorità della Corte e ha contestato formalmente le accuse.


Paesi che riconoscono ufficialmente la Palestina. Fonte Al Jazeera

Il governo Netanyahu è fortemente criticato anche da una grossa fetta di israeliani che, pur fermi nella condanna al terrorismo islamico, non si riconoscono nelle politiche di estrema destra del suo leader.

La situazione tra i militari della Idf inoltre non è delle migliori e iniziano a diffondersi notizie su tantissimi casi di richiesta di supporto psicologico, alcuni dei quali culminati nel suicidio. Niente in confronto alla situazione dei civili palestinesi, certo, ma anche questi sono aspetti da non sottovalutare.


Militari israeliani. Foto Idf

Per Netanyahu però non ci sono solo brutte notizie, anzi.

Le recenti elezioni presidenziali americane hanno riportato grande entusiasmo nel suo governo. Netanyahu è un sostenitore della prima ora di Trump e non è escluso che il sostegno americano nel prossimo periodo sia ancora più forte.

A questo si aggiunge che Trump non ha mai nascosto i suoi pensieri sull’Iran, nazione ritenuta il capo occulto di tanti gruppi terroristici, per cui c’è da credere che la parabola di Netanyahu non sia al termine.


Immagine dell’ultimo corridoio militare creato dall’Idf. Fonte BBC

Tutto fa pensare che, in vista di un possibile  cessate il fuoco nelle prossime settimane, il governo israeliano cerchi di ottenere il massimo delle conquiste tattiche in modo da arrivare ai negoziati nelle migliori condizioni.

Uno dei tanti esempi sono i corridoi militari che stanno dividendo in settori la striscia di Gaza, i residenti palestinesi sono scappati più a sud e al momento sembra improbabile che riescano a tornare a casa.

In tutto questo i militari Unifil si trovano in mezzo a vere e proprie azioni belliche senza  mezzi adeguati perché la missione Unifil è stata concepita per gestire un periodo di transizione, non certo una guerra.

Ai rappresentanti politici la scelta su come adattarsi alla situazione, ogni giorno militari e volontari delle organizzazioni umanitarie rischiano la vita e ogni giorno, anche per loro, può essere l’ultimo.

Carlo Manca



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