Villaspeciosa. Padre e figlio legati dal destino, due vite spezzate dalla violenza di due guerre
Narciso e Carmelino Montis, padre e figlio, accomunati dalla guerra e dalla prigionia. La morte ha rapito il padre nel 1918, ma non è riuscita a sottrarre il figlio che è tornato a casa dopo la seconda guerra mondiale.
di Giuliana Mallei
Ancora una volta ci accingiamo a raccontare una storia di guerra, ma stavolta si tratta di una vicenda davvero singolare e, forse, più dolorosa di quelle fino ad ora riferite.
Secondo alcuni studiosi di Storia Contemporanea, la Prima e la Seconda guerra mondiale sarebbero un unico conflitto che ha visto una interruzione di 21 anni, pertanto dovrebbero essere considerate un unico evento. Secondo altri eminenti intellettuali, tale conflitto sarebbe ancora oggi in atto, notevolmente evoluto nel suo aspetto, ma pienamente dilagante. Basti pensare alla Guerra Fredda e alle varie guerre per “l’esportazione” della Democrazia, in poche parole il mondo non ha pace e non l’ha mai avuta nemmeno nel periodo precedente la Grande Guerra.
Ma torniamo al nostro racconto, che inizia da Villasor con Narciso Montis, classe 1877.
Narciso partì per il fronte, presumibilmente nel 1915, all’età di 38 anni. Non era quindi tra i più giovani, ma era già sposato e padre di famiglia. Appartenente al 5° Reggimento Bersaglieri, catturato in battaglia, fu condotto in prigionia a Timisoara, oggi in Romania, città situata nel Banato e all’epoca appartenente all’Ungheria. Dalle nostre ricerche è emerso ben poco di questo periodo di prigionia, sappiamo solo che lo sfortunato soldato vi morì il 4 luglio del 1918 per “catarro polmonare”.
La famiglia non ebbe più sue notizie, né seppe mai in quale luogo fosse stato sepolto. L’attività di ricerca, cento anni dopo la sua morte, ci ha consentito di sapere che al termine della guerra la sua salma fu riesumata e traslata all’interno del cimitero militare di Gencha a Bucarest e allocata nel riquadro dedicato ai caduti italiani, accomunati dallo stesso triste destino. Possiamo solo immaginare la disperazione della giovane moglie che si ritrovò da sola a dover tirar su i due figli, Carmelino e Luigi, senza sovvenzionamenti né diritti sociali che, a quei tempi, non esistevano per nessuno.
Ma la vita continua per tutti e la pace fittizia del 1918 cominciò a scricchiolare per poi sfociare in un altro conflitto mondiale molto più feroce di quello precedente. Alla leva obbligatoria non si sfuggiva e fu così che Carmelino Montis orfano di guerra, figlio di Narciso, già sotto le armi dal 1931, fu inviato in Somalia (Africa Orientale) con il 4° Reggimento Fanteria. Imbarcatosi a Messina il 20 aprile del 1935, giunse a Mogadiscio il 4 maggio dello stesso anno. Qui combatté per l’impero italiano e ripartì per l’Italia il 7 dicembre 1936, per poi attraccare a Catania il 20 dicembre successivo. Dal foglio matricolare, conservato in Archivio di Stato, scopriamo che Carmelino fu inviato in congedo illimitato il 22 dicembre e gli fu anche erogato un premio di smobilitazione di £ 450. Inviato in congedo, fu iscritto nei ruoli della Forza in congedo del distretto militare di Cagliari.
Ma la serenità durò ben poco, infatti il 2 ottobre del 1938 fu richiamato alle armi e destinato al 60° Reggimento Fanteria. Approfittò di alcuni giorni di tregua per portare all’altare la sua fidanzata, Carolina Ena di Decimoputzu, che sposò il 22 ottobre 1938. Tra il 1938 e il 1940 il nostro è stato richiamato e collocato in congedo più volte fino al 6 dicembre 1940 quando giunse in territorio dichiarato in stato di guerra con il suo nuovo reggimento: il 45° Reggimento Fanteria. Dopo aver trascorso un breve periodo anche nel 46° Reggimento fanteria, fu destinato alla 2° Compagnia scaricatori di porto appartenente al 409° Battaglione T.M nel Distretto Militare di Bari e imbarcato per la Grecia. In Grecia quindi fece parte delle truppe di occupazione, condividendo il triste destino degli abitanti e degli occupanti, uniti dalla fame e dalla miseria in un costante pericolo di vita per tutti.
La fame gioca brutti scherzi a chiunque e, pur di mangiare qualcosa, in queste circostanze, si può commettere qualcosa di illegale che però noi oggi possiamo definire lecito, se si tratta della lotta per la sopravvivenza. Ecco che non ci sentiamo di giudicare il nostro per aver partecipato alla sottrazione di 3 sacchi di uva passa, appartenenti all’esercito italiano, che facevano parte di un carico di 5 vagoni ferroviari, al fine di rivenderli al mercato nero per acquistare cibo. Purtroppo il codice disciplinare militare prevedeva una punizione esemplare e Carmelino Montis fu processato (insieme ad altri due commilitoni) e condannato a due anni di reclusione dal Tribunale militare italiano di Atene il 31 agosto del 1943.
In quei giorni però le sorti della guerra erano in veloce evoluzione, gli alleati avanzavano rapidamente e i tedeschi erano costretti alla ritirata, gli stessi fascisti erano in difficoltà e negli otto giorni successivi al processo capitò l’inimmaginabile: il governo fascista fu dichiarato decaduto, Mussolini sfiduciato e il Maresciallo Badoglio l’8 settembre proclamò l’armistizio. Pertanto italiani e tedeschi, da alleati, divennero nemici. Il ribaltone avvenne in contemporanea in tutto lo scacchiere di guerra, anche in Grecia. Carmelino, l’8 settembre, fu scarcerato dai tedeschi, ma contemporaneamente fu dichiarato prigioniero di guerra e portato in Germania.
Purtroppo dal foglio matricolare non è possibile desumere notizie riguardanti la prigionia, possiamo solo supporre che egli sia stato tradotto in Germania, probabilmente, con un volo militare. Infatti le navi tedesche e i convogli nazisti, carichi di prigionieri, che partivano dalla Grecia in ritirata verso la Germania, furono quasi tutti affondati o fatti saltare in aria dagli alleati anglo-americani.
Dal fascicolo personale di Carmelino Montis scopriamo che egli fece ritorno in Italia il 31 agosto 1945 e fu ricoverato dalla Croce Rossa in un ospedale di Trento. Come tanti altri ex prigionieri fu duramente provato dalla prigionia, durata ben due anni. Il suo fisico ne risentì notevolmente e per lungo tempo fu sottoposto a specifiche terapie mediche per superare lo shock psico-fisico. Solo il 10 luglio 1946 poté far rientro a casa, a Decimoputzu, e riabbracciare sua moglie Carolina e le sue figliole, che stentarono a riconoscere, in quell’uomo così magro e segnato dalla sofferenza, il loro adorato padre e marito. Con il passare del tempo, Carmelino Montis tornò ad essere l’uomo buono e di gradevole umore che era sempre stato, la gioia di vivere lo accompagnò tutti i giorni della sua vita, pur mantenendo un piccolo cruccio: egli infatti avrebbe avuto il diritto ad un posto di lavoro comunale o statale proprio a causa dei suoi patimenti, ma non riuscì mai a far valere i propri diritti in tal senso. Forse la sua mitezza gli impediva di pretendere con forza il dovuto e talvolta, chi di dovere, scambia la buona educazione con la rinuncia volontaria ad ottenere giustizia sociale.
Nell’esaminare il fascicolo di Carmelino Montis è risultato evidente che egli ha sacrificato tantissimi anni della sua vita per la Patria, infatti dal 1931 al 1946 lo Stato ha gestito la sua vita: 15 anni sotto le armi, a più riprese, prestando servizio in ben 10 comandi differenti e due anni di prigionia in Germania. Riteniamo che gli spettasse un riconoscimento cospicuo in termini di lavoro, denaro e gratitudine ufficiali, ma così non è stato.
Siamo onorati di aver potuto raccontare la storia del signor Carmelino Montis e di suo padre Narciso ai lettori di Vulcano; pertanto ringraziamo le signore Margherita e Lucia Montis, che ci hanno consentito di raccontare le storie dei loro congiunti, coraggiosamente rivivendo con noi tutto il dolore e la tristezza consumati in famiglia riguardanti queste vicende.
Ci sentiamo di ringraziare anche l’Archivio di Stato di Cagliari che, nella persona di Aldo Pillittu, ha contribuito in modo decisivo alla ricostruzione storica di questi fatti.