Clima, orientamento e politica
di Giancarlo Pillitu
Il maltempo che ha flagellato l’Italia lo scorso ottobre sembra sfuggire alla normale ciclicità del tempo atmosferico e al vettore spazio-temporale che finora ci ha guidati verso la “Modernizzazione”. Tutto un insieme di fenomeni sembrano spiegarsi alla luce dell’ipotesi, piuttosto inquietante, che si sia ormai insediato un “Nuovo Regime Climatico”, caratterizzato dal fatto che la Terra abbia cominciato a reagire all’azione umana. A questo riguardo, Bruno Latour (1947), filosofo della scienza, sociologo e antropologo francese, afferma: “Se non accettiamo l’idea che siamo entrati in un Nuovo Regime Climatico, non possiamo comprendere l’esplosione delle disuguaglianze né l’ampiezza della deregulation né la critica alla mondializzazione né, soprattutto, il desiderio panico di fare ritorno alle vecchie protezioni dello Stato nazionale – ciò che si chiama, a torto, ‘crescita del populismo’” (B. LATOUR, Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018, pp. 8-9). Appare evidente che clima e comportamenti umani sono strettamente interconnessi, anche se non sempre se ne ha consapevolezza.
Tale evento, ovvero l’instaurarsi di un Nuovo Regime Climatico, cambia completamente il senso del nostro stare al mondo. Il clima diventa così un fattore di orientamento dell’azione collettiva dell’uomo in un pianeta che ha preso a far sentire la propria voce. Ciò significa che la politica non può più ignorare la componente attiva o reattiva della natura, che da semplice cornice diventa attrice. E che attrice! Il clima, dunque, orienta la politica. O almeno dovrebbe, se non si vuole andare incontro a conseguenze disastrose per un’umanità che fatica a trovare il senso della realtà.
Il problema del senso è riconducibile, per l’appunto, all’evidenza della realtà. Infatti, in ultima analisi, non è poi così difficile rispondere all’apparentemente complessa domanda sul senso della vita, dal momento che il senso sta da sempre davanti ai nostri occhi, e non è altro che la realtà. Ma, a quanto pare, il sano realismo non è un atteggiamento facile da assumere. Sembra, infatti, più “naturale” sovrapporre alla realtà un velo ideologico che copra i nostri “reali” (questi sì!) interessi.
Bruno Latour, nel libro citato, fornisce un’interpretazione eco-sistemica della politica, che supera non solo la contrapposizione tradizionale fra Destra e Sinistra (ormai incapace di spiegare l’esistente), ma addirittura la distinzione tra gli uomini, da un lato, e gli altri “agenti” terrestri, dall’altro. E ciò per un semplicissimo motivo: siamo tutti sulla stessa barca, come aveva giustamente capito a suo tempo Schopenhauer.
Se senso e realtà coincidono, in quanto la nostra vita trova il suo orientamento nella cura della Terra, dalla quale dipende la sua stessa sopravvivenza, allora il senso non va ricercato nella trascendenza, ma ritrovato nell’immanenza.
L’insegnamento di Sant’Agostino: “Non uscire da te, ritorna in te stesso, nell’interno dell’uomo abita la verità; e se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te” (La vera religione, 39, 72) è valido se si sposa la causa della trascendenza, ovvero di una verità, di un senso, che trascendono il mondo sensibile e che si rivelano nell’interiorità dell’anima umana. Tuttavia, non uscire da se stessi non aiuta a cogliere il senso della nostra esistenza mondana, ovvero della nostra missione eco-sistemica.
Di maggior aiuto sembra, invece, l’idea dell’essere come relazione, che Platone delinea nel Sofista, secondo la quale esistere significa agire o subire un’azione (da tale definizione dell’essere, gli stoici ricavarono il loro materialismo – poiché solo ciò che è corporeo può agire o subire un’azione – in contrapposizione all’idealismo platonico da cui tuttavia deriverebbe).
D’altra parte, stiamo discutendo di politica, dunque di qualcosa che per definizione si configura come mondano. Si pensi al mito platonico della caverna: la sfera del politico coincide con il rientro del filosofo nel mondo sensibile. Le coordinate del senso sono, pertanto, immanenti.
Inoltre, sulla scia di Lévinas, l’etica non può essere concepita se non come spiritualità incarnata, per cui la responsabilità per l’altro si traduce nella rinuncia al proprio boccone di pane per donarlo all’altro uomo, affinché possa vivere o almeno sopravvivere. Tale prerogativa, infatti, è tipicamente umana e non è data agli angeli, esseri totalmente disincarnati che nulla di corporeo possono donare o donarsi. La dimensione dell’etica, dunque, così come della politica, è l’immanenza.
Latour, sempre nell’opera menzionata, individua quattro coordinate per “orientarsi in politica”, che chiama “attrattori”: 1) il “Locale”, che promette sicurezza e identità; il “Globale”, fattore della modernizzazione; 3) il “Terrestre”, che promuove il ritorno alla Terra, divenuta, nel frattempo, da stabile instabile; 4) il “Fuori-Suolo”, che fa leva sul negazionismo per preparare la fuga dalla realtà, che sfocerebbe nel consumo egoistico delle ultime risorse naturali da parte delle élites che governano il mondo.
Il filosofo francese, inoltre, ci spiega che siamo passati dalla “natura-universo”, costituita da “oggetti galileiani”, che rispondono unicamente alla legge della caduta dei gravi (come se venissero osservati da Sirio), alla “natura-processo”, composta da oggetti “lovelockiani” (James Lovelock è il chimico britannico che ha elaborato la teoria di Gaia, ovvero della Terra come “superorganismo”, alla vita del quale concorrono tutti gli esseri viventi, sia vegetali che animali), soggetti a tutte le trasformazioni che sulla terra da sempre drammaticamente si susseguono, dalla nascita alla morte, dalla crescita alla corruzione. Gli oggetti “lovelockiani” sono, pertanto, “agenti” terrestri, che per essere compresi richiedono una puntuale “descrizione dei terreni di vita”.
Si tratta in sostanza di cambiare radicalmente ottica, e di guardare una volta per tutte alla nostra Terra come a un “sistema di generazione”, basato su una complessissima rete di relazioni eco-sistemiche, piuttosto che come a un “sistema di produzione”, in cui contano soltanto gli uomini e le risorse.
La politica necessita di una consapevolezza globale del destino della Terra nel suo insieme, al di là dell’umano proprio perché per l’umano, in vista dell’umano. Le vecchie categorie politiche e i beceri egoismi nazionalistici sono ostacoli che devono essere al più presto rimossi. Dovrebbe essere sufficiente l’ennesima ondata di maltempo a farcelo capire una volta per tutte, prima che sia troppo tardi!