Tra il racconto e la denuncia, Anna di Marco Amenta è il film necessario per le donne e per la Sardegna

È uscito a giugno scorso il nuovo film di Marco Amenta, Anna, ossia la storia di una pastora che lotta per rivendicare il diritto più sacrosanto di questo mondo: quello di poter vivere e continuare a lavorare a casa sua, dove è nata e cresciuta.
La protagonista è una donna coraggiosa, libera e allo stesso tempo dal carattere crudo, impetuoso e aspro. In un paese governato da uomini che mal tollerano la sua indipendenza, Anna deve fare i conti anche con gli uomini potenti che tentano di soffocare la sua libertà di vivere in pace, assieme al suo bestiame e alla sua vita aspra, ma al contempo semplice, lontana dalla vita mondana di Milano da cui è fuggita.
La storia è un continuo flusso narrativo ben scritto, con pause di stasi in cui è possibile entrare in contatto con le emozioni della protagonista e con ciò che sta vivendo. D’altro canto, è una storia che tocca le nostre coscienze con facilità, anche grazie al fatto che la trama prende spunto da due vicende di cronaca sapientemente intrecciate in un’unica narrazione. La prima vicenda è, a detta del regista, quella di Ovidio Marras, pastore di Teulada morto a 93 anni all’inizio del 2024, che nel 2010 rifiutò ingenti somme di denaro per non dover cedere quella che era la sua proprietà, ereditata da almeno due generazioni. La seconda vicenda, invece, trae ispirazione da un documentario realizzato precedentemente da Amenta, incentrato su una giovane pastora di Tolfa, allevatrice di vacche maremmane ricevute in eredità dal padre, e sulla sua vita, condotta fra le difficoltà della montagna e quelle date dal rapporto con un mondo, quello della pastorizia, prevalentemente maschile.
Con il film Anna, Amenta prosegue il filone dei film sardi “di denuncia” aperto qualche anno fa dall’altro capolavoro, L’Agnello di Manuel Piredda: racconta una Sardegna troppo spesso comandata dalle grandi aziende continentali, che promettono grandi assunzioni, ma che portano invece soltanto sfruttamento, stipendi da fame e poco lavoro per i residenti. E lo fa con una narrazione interamente femminile, incentrata sulla figura della protagonista, che sfonda le porte di un ruolo tradizionalmente imposto alle donne e si concede la libertà di essere e di vivere. La protagonista è forte e fragile allo stesso tempo, ma soprattutto è libera di accettare sia la sua forza che la sua fragilità. Non si poteva chiedere un’interpretazione migliore di quella messa in atto da Rose Aste, attrice di San Sperate, che negli ultimi anni si sta sempre più confermando come un talento straordinario e che si spera di vedere presto in altre pellicole di successo.
Insomma, Anna può essere incluso nella lista dei film necessari, non solo per la Sardegna, in quanto capace di denunciare situazioni che realmente esistono e si perpetuano nel tempo, ma anche per le donne sarde, poiché promuove un forte concetto di autodeterminazione femminile. Un messaggio, quest’ultimo, che purtroppo ancora oggi viene messo in discussione da una visione spesso patriarcale e centrata sulla predominanza dell’universo maschile.
Maurizio Liscia