Assemini, Uta e quelle montagne ferite
Tra le montagne di Assemini ed Uta è l’oasi WWF di Monte Arcosu a preoccupare
di Alberto Nioi
Nella notte tra il 10 e l’11 ottobre scorsi, come spesso si è ripetuto negli ultimi anni, sono stati i monti di Capoterra l’area su cui si è concentrato il nucleo principale di quella che i meteorologi hanno definito l’ennesima “violenta cella temporalesca”.
L’area montana e pedemontana, che per semplificazione giornalistica viene riferita alla cittadina, in realtà anche stavolta si è dimostrata bel più estesa interessando parte dei territori forestali, demaniali e non, inclusi nell’area del Parco Regionale di Gutturu Mannu: stiamo parlando di zone facenti capo ai comuni di Sarroch, Santadi, Assemini e Uta.
Gravi danni sono stati registrati sopratutto nei territori montani di Assemini e Uta, con le strette valli dei rii Gutturu Mannu e Guttureddu letteralmente sconvolte dalla devastazione delle acque. Per l’oasi WWF di Monte Arcosu (Uta, Assemini, Siliqua), centro propulsore e anima del nuovo Parco e per chi gestisce questa realtà, è stata una di quelle notti che difficilmente si dimenticano e la mattina successiva, una delle più pesanti e dolorose vissute in 30 anni di vita dell’area protetta.
Lo sa bene Antonello Loddo, guardaparco dal 1986 e da 13 anni coordinatore responsabile dell’oasi, che esprime tutta la sua preoccupazione per i danni registrati dalle infrastrutture presenti negli oltre 3500 ettari di bosco e le conseguenze che questi potranno determinare per il futuro prossimo di “Monte Arcosu”.
Antonello cosa rappresenta oggi l’oasi WWF di Monte Arcosu a distanza di 33 anni dalla sua nascita e come state affrontando questa lunga fase di recessione economica che purtroppo si riflette anche sulle aree protette e la loro gestione?
L’oasi di Monte Arcosu fu la prima area naturale protetta della Sardegna ad essere istituita, per lunghi anni rimase l’unico parco naturale terreste fino all’istituzione del parco di Tepilora e del Gutturu Mannu e resta a tutto oggi l’unico parco naturale montano ad essere fruibile seppure con tutti i suoi limiti. Possiamo affermare che L’oasi WWF di M. Arcosu è un punto di riferimento regionale per tutti gli escursionistici e amanti della natura. Fino a qualche anno fa grazie al forte impegno del WWF Italia, ai contributi provenienti da progetti della Comunità Europea, del ministero dell’Ambiente e con il sostegno del ex provincia di Cagliari l’Oasi era anche un esempio del efficiente gestione del territorio naturale, conseguendo grossi risultati in termine di salvaguardia del territorio , si ricorda il ripopolamento spontaneo del cervo sardo e la rigenerazione della copertura forestale dell’oasi. Interessanti prospettive erano state promosse anche riguardo la fruibilità dell’area con il riscontro della presenza di oltre 10000 visitatori/anno e l’ingaggio di diverse unità lavorative per la sorveglianza e la gestione dei servizi ai visitatori. La recessione economica di questo ultimo decennio ha però costretto l’oasi a rivedere pesantemente le prospettive dello sviluppo del micro attività economiche sostenibili e l’organizzazione della gestione ordinaria praticando anche tagli importanti al personale.
Ora finalmente si intravede una debole ripresa con la recente istituzione del Parco naturale regionale del Gutturu Mannu, l’attuale nomina del direttore del Parco e la sigla di nuove alleanze con importanti Fondazioni sia locali e nazionali. Questo apre nuove prospettive per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo e sostenibilità da tempo prefissati.
Quali sono le difficoltà maggiori che si incontrano nella gestione dell’oasi WWF più estesa d’Italia?
Certamente la mancanza di budget dedicato per la gestione ordinaria e straordinaria impedisce una programmazione efficace che si ripercuote su tutte le attività; a questo si aggiunge l’insufficienza di operatori retribuiti e volontari per svolgere le attività di manutenzione in generale ed un problema di infrastrutture che è necessario migliorare (viabilità, telecomunicazioni, energia elettrica).
A tua memoria l’evento meteorico del 10 ottobre scorso, considerati gli effetti sul territorio, come lo collochi? C’è chi lo considera il più distruttivo tra quelli verificatisi negli ultimi 30 anni.
Si, è senza dubbio il nubifragio più imponente che mai nessuno da queste parti abbia conosciuto; i danni maggiori sono riscontrabili a tutte quelle infrastrutture che si trovano nei pressi dei corsi d’acqua, in particolare sto parlando di ponti (ce ne sono diversi lungo il rio Guttureddu e in località sa Canna) e della sede stradale che rappresenta l’arteria di penetrazione fondamentale per tutto il compendio. In sostanza là dove l’uomo è intervenuto con opere edili che consentissero l’attraversamento dei ruscelli, la massa incontenibile d’acqua ha distrutto quasi tutto.
Di cosa c’è bisogno con più urgenza?
Che la burocrazia non blocchi le buone intenzione messe in atto per superare questa fase di emergenza e ricostruzione. È necessario che le decisione siano prese immediatamente e che gli interventi siano subito messi a cantiere naturalmente stando attenti a non ripetere gli errori del passato.
Se potessi fare un appello a chi ti rivolgeresti in questo momento e per chiedere cosa?
Chiederei alla Regione Sardegna di anticipare i fondi necessari per gli interventi senza dovere aspettare i fondi nazionali e di progettare interventi duraturi che tengano maggiormente conto del fenomeno dei cambiamenti climatici, realizzando opere che possano mitigarne gli effetti dannosi.