Coronavirus in Sardegna, cronistoria di un “male” che sembrava lontano
Vivere su un’isola come la Sardegna è spesso considerato un impedimento per varie ragioni: ad esempio, si deve necessariamente fare affidamento sui trasporti via mare o via cielo per poter raggiungere la Penisola. Proprio all’inizio dell’anno, la politica locale discuteva su una questione annosa: la continuità territoriale. I sardi chiedevano di poter viaggiare, uscire dall’Isola, allo stesso ritmo dei propri connazionali. Mai si sarebbe pensato che, solo qualche mese dopo, questa necessità sarebbe stata abbandonata per dichiarare un dietrofront: stiamo a casa e chiudete anche i nostri porti e aeroporti. Perché? Quel “male”, che sembrava così lontano, si stava avvicinando alle nostre coste.
Era il 7 marzo quando, in serata, viene pubblicata sul web da diversi notiziari nazionali la bozza del Dpcm 8 marzo 2020, con cui il Governo Conte creava una grande “zona rossa” nel nord Italia e chiedeva ai cittadini di quelle regioni di stare nelle proprie abitazioni ed evitare assembramenti e contatti ravvicinati con amici, parenti e qualsiasi altra persona per evitare il contagio di coronavirus (Covid-19). Nel corso del mese di febbraio si erano già registrati centinaia di casi in Lombardia e la diffusione sembrava non arrestarsi. Era necessario, dunque, assumere una presa di posizione forte e decisa. Quella stessa sera, decine di migliaia di fuori sede hanno preso d’assalto i treni e gli aerei che partivano da Milano verso il Sud. Tra questi, più di 13 mila hanno raggiunto la Sardegna, creando una forte ondata di proteste nella popolazione locale che temeva una diffusione di contagi pericolosa. Timori del tutto giustificati, visto che l’Isola può garantire soltanto 180 posti di terapia intensiva.
Si temeva il peggio, quindi, anche perché il 2 marzo era già stato riscontrato un caso positivo a Cagliari: Carlo Tivinio, un ragazzo di 42 anni, proprietario di un locale molto frequentato nel capoluogo sardo. Lo stesso che, dopo essere stato ricoverato il 29 febbraio all’ospedale Santissima Trinità di Cagliari, è deceduto il 15 marzo a causa del coronavirus. L’imprenditore si era sentito male alla fine del mese scorso, pochi giorni dopo il suo rientro a Rimini, dove si era recato per motivi di lavoro alla Fiera della birra (15-18 febbraio). Inizialmente non si era pensato al Covid-19 e soltanto agli inizi di marzo l’uomo è stato sottoposto al tampone in ospedale, risultando positivo.
Dal 3 marzo in Sardegna si inizia la conta dei contagi, che salgono giorno dopo giorno: prima due, poi altri quattro, altri cinque e così via. Fino ad arrivare al primo picco in data 9 marzo, quando si raggiungono 34 casi di positività in totale nell’Isola. Tra questi, molti sono medici e infermieri che operano all’ospedale San Francesco di Nuoro. La situazione si fa sempre più tesa, arrivano le prime disposizioni restrittive dal Governo, ma non basta. Per questo motivo il Governatore sardo Christian Solinas chiede ai rappresentanti nazionali di poter “blindare” l’Isola, limitando i trasporti aerei e marittimi da e per la Sardegna. L’approvazione arriva il 14 marzo: la Ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, firma il decreto in cui si stabilisce una sospensione dei trasporti delle persone: possono arrivare le merci, ma niente passeggeri. Rimane in attività soltanto un collegamento aereo, quello dall’aeroporto di Cagliari-Elmas a Roma Fiumicino (e viceversa), che può essere utilizzato esclusivamente per i casi di emergenza previsti dal Dpcm 9 marzo 2020: motivi di lavoro, salute e altri casi di comprovata necessità. I restanti voli sono cancellati fino a che l’emergenza non sarà dichiarata conclusa.
Il giorno seguente, i contagi subiscono una nuova impennata raggiungendo 81 casi in totale, di cui 41 sono dichiarati asintomatici. Nel complesso, si tratta di circa 30 persone tra personale medico e pazienti che si trovano all’interno delle strutture ospedaliere Santissima Annunziata di Sassari e Santissima Trinità di Cagliari. Nel frattempo, i maggiori esperti di settore sono concordi nell’affermare che si dovrà aspettare la fine del mese di marzo per poter constatare il massimo livello di diffusione dei contagi nel sud Italia e nelle isole: questo perché il coronavirus, secondo i casi accertati in precedenza in Lombardia, resta in incubazione per 15 giorni.
Dunque, si aspetta. E la conferma arriva proprio la terza settimana del mese, quando in Sardegna si registra un nuovo picco, ancora più alto rispetto ai precedenti, il 19 marzo: dai 134 casi positivi accertati dalla Protezione Civile la sera precedente, si arriva a 206 persone affette da coronavirus. Anche in questo caso, si tratta in buona parte di personale medico, infermieri e operatori socio sanitari che lavorano all’ospedale Santissima Annunziata di Sassari. Per questo motivo, la Procura del capoluogo turritano ha aperto un fascicolo per verificare le cause scatenanti della rapida diffusione avvenuta all’interno di questa struttura sanitaria. La situazione si fa sempre più calda, i medici lamentano la mancanza di attrezzature adeguate per combattere questo nuovo “male”. Il personale dell’ospedale Brotzu di Cagliari minaccia lo sciopero e la Regione Sardegna, per tutta risposta, promette l’arrivo di mascherine, tute e guanti in tempi rapidi. Ma il virus si dimostra più veloce e più aggressivo e continua a propagarsi nell’Isola, facendo registrare 31 vittime alla fine di marzo.
Il mese di aprile può essere diviso in due fasi: se nella prima parte si è registrato un costante aumento di casi di positività al Covid-19, fino ai 914 contagi certificati alla data del 13, nella seconda parte la diffusione del nuovo coronavirus ha subìto una brusca frenata. Il numero delle vittime è comunque cresciuto negli ultimi 30 giorni, sono infatti 85 i pazienti deceduti nel corso del mese. Tra questi, la maggior parte sono persone di circa 80 anni con una o più patologie pregresse.
Oggi il bollettino della Protezione Civile certifica 744 casi di positività al Covid-19 in Sardegna, a cui aggiungere 435 guariti (di cui 80 guariti clinicamente) e 116 deceduti che portano il totale dei soggetti che hanno contratto il virus dall’inizio dell’epidemia a 1.295. Attualmente sono 103 i pazienti i ricoverati, di cui 16 in terapia intensiva; le persone in isolamento domiciliare sono invece 641. Secondo i dati forniti dall’Unità di Crisi della Regione Sardegna, i tamponi eseguiti alla data di oggi sono 24.754.
Sul versante politico, dopo la decisione del Presidente Solinas di rinviare dal 13 al 27 aprile la riapertura di librerie, cartolibrerie e negozi di abbigliamento per bambini, queste sono ore caldissime. Adesso i vertici della Regione auspicano infatti una “apertura” anticipata dell’Isola rispetto alle date indicate dal Dpcm del 26 aprile. La ministra ai Trasporti Paola De Micheli ha intanto deciso di prorogare fino al 17 maggio la chiusura di porti e aeroporti in Sardegna. Mentre appare difficile che ci siano allentamenti delle misure restrittive su base regionale prima del 18 maggio.
Il prossimo 4 maggio ci sarà una piccola, parziale ripartenza. Con prudenza, responsabilità e soprattutto utilizzando le dovute precauzioni. Ma non si deve abbassare la guardia. Come sostenuto dagli esperti di settore, il Covid-19 è un’entità del tutto nuova alla comunità scientifica internazionale e, così come tutti gli altri virus, è in continua mutazione. È necessario fare uno sforzo collettivo, seguire le disposizioni e i consigli impartiti dal Ministero della Salute e dagli stessi medici e infermieri che sono in prima linea per cercare di annientare questo “male” che, soltanto qualche mese fa, sembrava essere molto lontano.
Francesca Matta