Ellenizzazione religiosa della Sardegna e la Chiesa di San Giorgio di Decimomannu: le monache di Santa Greca
Le monache di Santa Greca
di Renato Grudina
Ellenizzazione religiosa della Sardegna e la Chiesa di San Giorgio di Decimomannu
Prima parte
Appena quattro secoli dalla fine delle persecuzioni cristiane e dopo la breve dominazione vandalica, la Sardegna, sotto Giustiniano (527-565), entra nell’orbita dell’impero bizantino e del suo dominio.
Col cambio di regime si registrano mutamenti importanti anche nella chiesa sarda ad opera di monaci arrivati nell’isola al seguito della nomenclatura bizantina.
Questi religiosi venuti dall’Oriente ebbero gioco facile, con la struttura ecclesiale sarda allo sbando, nell’imporre le loro abitudini e le loro liturgie.
Costoro, in un clima di risveglio religioso coinciso con la cacciata dei barbari e il consolidamento del potere dell’Impero romano d’Oriente, pieni di fede e di fervore, importarono nell’isola il culto di santi greco-orientali in gran parte sconosciuti, che divennero titolari di numerose chiese sarde.
L’ellenizzazione religiosa si diffuse in tutta l’isola, favorita anche dai preti locali che ritennero più conveniente obbedire al Patriarca di Costantinopoli piuttosto che al Pontefice romano, in quel tempo molto in ombra.
La determinazione posta dal clero greco nell’imporre i loro santi, portò a una comprensibile e lenta emarginazione di quelli locali.
Un antico tempio religioso del V secolo d.C, che si presume fosse dedicato da tempi immemorabili a Santa Greca di Decimomannu, fu destinato dai monaci bizantini al culto di San Giorgio, come raccontano alcuni preziosi documenti di età tardo-medievali citati in questo studio.
Cosicché il ricordo di Greca, come si suppone, rimase nel dimenticatoio a vantaggio della nuova santità portata dall’Oriente.
A conferma della condotta del clero bizantino si ricorda che nel solo villaggio di Decimomannu e nel suo agro si contavano nel passato numerose chiese andate distrutte intitolate a santi appartenenti prevalentemente al menologio bizantino: Santo Antonio Abate, San Giorgio, San Vito, San Giacomo, San Pietro, San Nicolò, San Leonardo, Santa Lei (Elena), Santu Marcu, San Rocco, Santa Maria de su Templu (chiesa eretta dai templari nelle campagne tra Decimo e Villasor).
La presenza bizantina in Occidente si trascinò fra alti e bassi fino allo scisma della cristianità orientale del 1054, ma l’obbedienza della chiesa sarda al patriarcato di Costantinopoli iniziò a scemare dopo la metà del IX secolo.
La restaurazione del potere temporale e spirituale del Pontefice romano consentì di cancellare le ingerenze bizantine in campo teologico, di riconfermare le disposizioni canoniche della chiesa latina, e con esse l’autorità della sua guida.
Nell’isola il clero cattolico si rivelò piuttosto deciso nel dirimere le questioni religiose e morali e nel far prevalere l’autorità della chiesa a scapito del potere temporale dei regnanti.
In quegli anni, sulla scena politica isolana si affacciava una classe di potenti possessores, i cosiddetti Giudici, che rivendicarono presto ampi poteri di governo civile e militare.
Quella classe di nobili, che si qualificarono reges, contando sul distacco dell’impero bizantino dalla sua lontana provincia, furono risoluti nel volere governare l’isola in piena autonomia.
Avvalendosi del loro potere rifiutarono perfino la tutela della chiesa romana in virtù, come si legge in un documento del XI secolo scritto in volgare sardo, di una legittimazione divina: per voluntate de donnu Dèu potestandu parte de Caralis (Tola 1984, I/1, n.8, pag.154), che possiamo tradurre in questi termini: esercitiamo il potere nel giudicato di Cagliari per volontà del Signore Dio.
Questi regnanti, tra i tanti privilegi, si spinsero al punto di rivendicare il diritto di decidere anche sulla elezione dei vescovi, da sempre prerogativa assoluta del Pontefice romano.
In quel momento apparve inevitabile un conflitto tra il potere laico e quello religioso, entrambi impegnati a imporre la loro autorità e il proprio dominio.
A mettere le cose a posto ci pensò presto il coriaceo Gregorio VII (Ildebrando di Soana, il protagonista dello scisma della chiesa romana da quella greca) che, con l’inflessibilità e il rigore che la storia gli riconosce, intervenne presso i quattro Giudici sardi con lettera scritta, richiamandoli severamente al rispetto delle prerogative in capo alla chiesa di Roma e alla obbedienza verso la sua guida.
Quando salì al trono del giudicato di Cagliari Orzocco-Torchitorio (1058-1089), il papa Alessandro II, facendosi interprete delle disposizioni gregoriane accusò il regnante di essere il responsabile di numerosi omicidi, di rapporti incestuosi e altri gravi misfatti.
Con la minaccia di interdire ai figli la successione del trono lo invitava ad abbandonare i comportamenti criminali e tornare sulla retta via, imponendogli come penitenza elargizioni alla chiesa e la costruzione di un monastero.
A quel punto, il Giudice, impaurito dalle minacce del Pontefice e incoraggiato dalla moglie Vera, decide di pentirsi e come atto di sottomissione, col consenso dell’Arcivescovo di Cagliari, fa donazione nel 1081 ai Benedettini di San Vittore di Marsiglia di due chiese di sua proprietà: la chiesa di San Genesio viene donata al clero di Uta e la chiesa cosiddetta di San Giorgio al clero di Decimo con la promessa di edificare in quella comunità un monastero, come gli fu imposto dalla autorità religiosa.
Purtroppo Torchitorio, colto da morte improvvisa nell’agosto del 1089, non fu in grado di mantenere del tutto la promessa fatta.
Sappiamo però che il Giudice Costantino Salusio II, figlio di Torchitorio, con atto successivo (anno 1089), confermò la precedente donazione del genitore stabilendo ai beneficiari l’obbligo di edificare nel villaggio di Decimo un monastero femminile, come da volontà paterna e come si evince da un antico documento citato da P.Tola (Codex Diplomaticus Sardiniae XI.16).
E’ noto che i Giudici di Cagliari per ragioni politiche e religiose avevano l’interesse ad accontentare il clero e le popolazione con ricche elargizioni, privilegiando in particolare le chiese che per tradizione valorizzavano i culti martiriali.
Essendo nel frattempo deceduto l’Arcivescovo di Cagliari Giacomo, la riconferma della donazione fu firmata da Virgilio vescovo di Dolia e da Raimondo vescovo di Sulcis.
Sulla testimonianza e sul valore storico di questi documenti non ci sono dubbi: essi, se vogliamo, squarciano le nebbie che avvolgono la vexata questio di Santa Greca, perché attestano implicitamente, senza se e senza ma, che il culto probabilmente affondava le radici anche nei secoli antecedenti l’anno1000, quando si presume era più che viva la memoria di una santità e una devozione popolare molto sentita.
Il monastero voluto dai Giudici di Cagliari non fu edificato, come ipotizzato da Alberto Boscolo, presso la chiesa di San Genesio di Uta, e ancora meno nell’agro di Decimoputzu visto che la circostanza viene tassativamente esclusa da fonti medievali che raccontano altre verità.
Affidabili testimonianze letterarie e materiali confermano l’esistenza a Decimomannu di un monastero femminile destinato a ospitare una comunità di monache consacrate a Santa Greca.
Dopo la scomparsa dall’isola dei monaci orientali di lingua greca e l’arrivo dei vittorini di Marsiglia, insediatisi in Sardegna fra il 1065 e il 1089, le devozioni verso le santità latine ripresero vigore, e in un clima di rinnovato fervore religioso fu ripristinato anche il culto di Santa Greca così come voleva su “connottu “ popolare.
Questa testimonianza la ricaviamo da un significativo documento edito da F. Artizzu dove si trovano elencate le rendite dei Donoratico per il periodo che va dal 1259 al 1294. In quelle certificazioni fiscali inerenti gli affari dei Gherardesca signori di Decimo, troviamo la notizia che due abitanti del luogo, un certo donno Barsuolo Squirro e un certo Nicola di Serra, svolgevano la funzione di terrali (contabili) della chiesa di San Giorgio – Santa Greca.
Grazie a questa notizia possiamo affermare con ragionevole certezza che a Decimo esisteva fin dalla meta del XIII secolo, ma probabilmente fin dai tempi di Costantino Salusio III (1089), una chiesa che ricordava con una denominazione binominale oltre alla santità di Giorgio megalomartire anche quella di Greca.
Ulteriori dubbi vengono definitivamente dissipati da una carta del 1355, emanata dalla cancelleria del re Pietro IV di Aragona (citato da M.G. Meloni, R Pinna, C. Zedda), dove si trovano elencate le offerte fatte a favore del monastero femminile di Decimo, detto letteralmente di San Giorgio – Santa Greca.
fine prima parte