Il governo Draghi non è “la grande ammucchiata”
di Alberto Nioi
E’ nato il governo Draghi, un esperimento che non è stato capito fino in fondo da molti tra i commentatori politici tanto meno, e la cosa sarebbe un tantino più grave, da molti dei protagonisti della scena politica nazionale.
Il tratto comune a coloro che, ciascuna dalla sua prospettiva, o esprimono contrarietà oppure stigmatizzano l’incoerenza e le giravolte di taluni parlando di grande zibaldone politico, è dato dalla evidente difficoltà di inquadrare lo scenario nel quale ha preso forma questo governo, la geografia attuale dei gruppi parlamentari e quali siano gli obiettivi e le emergenze che è chiamato ad affrontare l’esecutivo.
Cercare di interpretare questa vicenda politica con lo stesso metro col quale siamo abituati a misurare il normale confronto politico e democratico nelle istituzioni del paese, seppure molto travagliato come quello italiano è a mio avviso un errore grossolano.
Eppure oramai non si contano, soprattutto in TV, la fitta schiera di addetti ai lavori, soprattutto giornalisti e commentatori a vario titolo, che non riescono ad allontanarsi dal solito schema, declinando il racconto e la cronaca politica di questi giorni utilizzando il modello solito che prevede una maggioranza, un’opposizione, la coerenza di valori e così via discorrendo.
Anche una personalità brillante e capace come il giornalista Sergio Rizzo, giusto per fare un esempio, da cui ti aspetteresti valutazioni un tantino più articolate, sottolinea che la nascita del governo Draghi sancisce, per il M5S, il superamento definitivo di quello che è stato un punto fermo del manifesto politico del movimento: il vincolo di mandato. Ripeto, è il primo esempio che mi viene in mente avendolo sentito parlare qualche giorno fa, ospite ad Agorà su Raitre, ma se ne potrebbero fare tanti altri.
Con l’adesione al governo per il movimento fondato da Grillo decadrebbe quindi anche quest’ultimo dogma. A me pare si possano attribuire tante altre giravolte e retromarce a questa forza politica ma addirittura rimarcare la presunta incoerenza rispetto al mandato elettorale ricevuto mi pare un errore di valutazione perché decontestualizza le ragioni di questa scelta.
Che poi ignorare queste ragioni, anzi direi la necessità di fare oggi quello che mai avresti immaginato di fare, è l’errore che a mio avviso stanno commettendo in molti, specie tra le fila dei gruppi della ex maggioranza. E se la cosa potrebbe non suscitare grande sorpresa se a tormentarsi fra mille dubbi fossero parlamentari di “primo pelo”, lascia un po’ interdetti l’atteggiamento ostile a questo governo espresso da parlamentari di maggiore esperienza come Fratoianni, di Sinistra Italiana, il quale giustifica il suo No per la presenza al governo della Lega di Matteo Salvini: quello al governo c’è entrato anche per questo! (e se la ride), per sparigliare e far implodere pezzi di centro-sinistra che mal lo digeriscono, e a quanto pare un po’ ci riesce.
Dice bene Stefano Fassina, deputato di LEU che afferma “Ci sono differenze tra di noi ma il governo Draghi non è un governo di programma. È un governo di scopo per affrontare l’emergenza”.
Concetto tanto semplice quanto tremendamente complicato da digerire per molti.
Ci sono quelli che si adeguano alla volontà emersa dalla consultazione su Rousseau ma che in fondo avrebbero votato no: Toninelli (sic!): “Mi adeguo a Rousseau, ma ero per il no. Sarà una fiducia giorno per giorno, se sarà tradita abbandoneremo”.
Lui e altri con lui evidentemente avrebbero preferito andare ad elezioni. E l’invito alla responsabilità rivolto alle opposizioni sino all’ultimo minuto prima delle dimissioni di Conte valeva solo per la controparte politica?
E le parole del capo dello Stato (riascoltare il discorso di Mattarella successivo alle dimissioni di Conte) sono state capite sino in fondo?
Come è noto non si tratta di casi isolati ma di numerosi parlamentari che siedono in diversi gruppi.
Nel corso delle sue dichiarazioni durante il voto di fiducia in Senato, Paola Nugnes, di Sinistra Italiana ha affermato che la maggioranza così allargata è la morte della politica, “il Paese ha bisogno di un’opposizione di sinistra”.
Ma opposizione a che cosa? Ad un governo non politico? Ad un governo che ha al suo interno quasi tutto lo schieramento di centro-sinistra? Esponenti del centro-sinistra che pensano di fare opposizione ad altri esponenti del centro-sinistra quindi. Questo dovrebbe essere alla fine il senso.
Con un Parlamento paralizzato perché esattamente spaccato a metà fra centro-destra e centro-sinistra ma con un elettorato che, stando ai sondaggi, premierebbe la coalizione di Salvini & c., lamentarsi dello sbilanciamento del governo Draghi a destra, fa sorridere per tanta innocenza: la Nugnes si aspettava forse un nuovo Berlinguer in grado di mettere d’accordo Mattarella, parlamento e paese? Se ne conosce uno lo tiri fuori.
L’Italia ha prima bisogno di un governo che gestisca questa fase, l’opposizione di sinistra (o di destra) la fai se ci sono i presupposti concreti non se al governo ci sono tutti.
Giorgia Meloni che con FDI compie lo stesso errore (o furbata a seconda dei punti di vista) in aula dichiara «Dopo aver ascoltato da Draghi un intervento di generica visione politica, che evita però di calarsi nelle scelte concrete da effettuare, confermiamo il nostro no a questo governo».
Le scelte che una parte politica può considerare concrete sono normalmente quelle in sintonia con la propria idea di società ma un governo di unità nazionale non può essere sbilanciato, deve agire in un equilibrio attento alle diverse sensibilità di chi lo compone, con buona pace dell’acuta Giorgia.
Stiamo parlando di un governo dove non esistono maggioranza e opposizione, per questa ragione non si può parlare di governo politico.
Pensare di fare opposizione ad un governo non politico significa aver capito poco (niente), soprattutto non avere capito quali siano le ragioni che stanno portando alla sua formazione.
Il governo di unità nazionale è un governo di tutti e per questo di nessuno. Non è “la grande ammucchiata” ma una scelta di emergenza in assenza di una vera maggioranza politica.
Nessuna deroga ai propri principi per nessuno, nessuna rinuncia ai propri valori e alle proprie idee.
Sono altri i momenti in cui una forza politica mette in gioco la propria credibilità, non certo passaggi come questo in cui vincono la contingenza e la responsabilità.
Ospite di una trasmissione televisiva, Maurizio Molinari direttore di Repubblica ha correttamente affermato che le vere leadership politiche si misurano in momenti come questi, ed ha ragione da vendere.
In una situazione disperata come quella in cui ci troviamo c’è in gioco ben altro che la presunta dignità politica di questo o di quest’altro.
Piuttosto, non ci si meravigli se con ospedali in piena emergenza, con centinaia di morti per Covid ogni santo giorno, il crollo dei consumi e la perdita di migliaia di aziende e posti di lavoro c’è stato chi ieri ha trovato il necessario cinismo per aprire una folle crisi di governo e non ci si meravigli oggi se la medesima miopia la ritroviamo in chi pensa solo a sventolare con sciocco orgoglio il proprio vessillo.
Non c’è da stupirsi perché gente così se ce n’è tanta: è lo stesso genere di individui che se ne frega e non rinuncia ad una festa di gruppo, o che si accalca nelle vie dello struscio, che espone il prossimo a gravi conseguenze per stupidità ed egoismo. Cambia il contesto ma l’atteggiamento irresponsabile è molto simile.
Viversi la vita come se niente fosse, fermare un paese in un infinito scontro politico come se niente fosse, per me hanno la stessa matrice, quindi bene ha fatto chi ha deciso, pur con sofferenza, di dare il proprio sostegno al nuovo governo e restituire un po’ di credibilità alla classe politica di questo nostro complicato paese.