Il tradimento della democrazia
La non applicazione dell’art. 49 della Costituzione e i suoi effetti devastanti nelle istituzioni e nell’economia italiana
di Luigi Palmas
L’ articolo 49 della Costituzione Italiana non è stato mai regolamentato ed attuato. Ciò è la causa principale e scatenante, ancora, e soprattutto, oggi, della catastrofe italiana in campo politico, sociale ed economico. La democrazia è stata ed è tradita.
Il confronto e lo scontro nell’Assemblea Costituente, nel 1946, sull’ordinamento giuridico dei partiti politici determinò una scrittura dell’articolo, molto breve, che lasciò non risolto il problema. Si sostiene che la sovranità è del popolo, il quale la esercita “nelle forme e nei limiti della Costituzione” e che, (art. 49), “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
In questo momento storico nelle istituzioni c’è una grave crisi, certa e visibile, di involuzione autoritaria. È urgente e indispensabile rivedere il patto istituzionale che lega i cittadini e i partiti politici e riattivarne le garanzie democratiche.
I Costituenti che decisero una forma di democrazia che attribuisce al popolo il diritto di partecipare alla formazione delle scelte politiche, non solo nel momento delle elezioni ma anche nel tempo in cui i poteri pubblici sono esercitati dai loro rappresentanti eletti, videro nei partiti lo strumento essenziale per l’esercizio pieno della sovranità popolare. Nel sintetico testo dell’art. 49 è stabilito il principio di libertà di associazione in partiti e il diritto di ciascun partito e di ciascun cittadino, senza limiti e preclusioni numeriche, di partecipare liberamente alla politica nazionale con l’ obbligo per ciascun partito di adottare il metodo democratico sia nei rapporti con gli altri partiti sia nella propria organizzazione interna.
I Costituenti e il legislatore ordinario hanno dato indicazioni, spesso in modo superficiale e contraddittorio, all’obbligo dei partiti di rispettare le procedure per la partecipazione alle competizioni elettorali; non hanno invece emanato le necessarie normative di attuazione dell’art. 49 sull’obbligo per gli stessi partiti di adottare il metodo democratico nella propria organizzazione interna. Sarebbe stata subito necessaria l’approvazione di una legge sull’adozione e sul rispetto di statuti di garanzia democratica interna ai partiti con i rimedi e le sanzioni contro le violazioni.
Sarebbero state indispensabili le disposizioni adatte a garantire per tutti i cittadini il diritto individuale alla partecipazione politica organizzata, all’iscrizione in un partito, a far parte delle assemblee e ad essere eletti alle cariche direttive e rappresentative a tutti i livelli e alla designazione a funzioni pubbliche mediante elezioni da parte delle assemblee dei rispettivi livelli con votazioni a scrutinio segreto e con voto personale, libero ed uguale; ad avere il diritto di esercitare le decisioni proprie delle cariche direttive nelle quali si è stati eletti; ad avere le minoranze il diritto di essere e di rimanere nel partito e di esprimere il proprio dissenso con proposte alternative alle decisioni della maggioranza e del gruppo dirigente; all’approvazione dei programmi di attività, dei bilanci di previsione e consuntivo del partito; alla partecipazione ad assemblee aperte per la discussione sulla scelta degli organi direttivi e dei candidati a cariche pubbliche; alla consultazione dei verbali delle assemblee e dei bilanci a norma delle leggi vigenti per la consultazione degli atti degli enti pubblici.
Questo modello costituzionale avrebbe potuto favorire la selezione dei gruppi dirigenti e dei componenti degli organi previsti dalla Costituzione tale da assicurare le risorse umane più idonee alla soluzione dei problemi. E’ facile invece notare come la mancata adozione del metodo democratico abbia trasformato i partiti in apparati dirigenti chiusi, che tendono a conservare la propria posizione adottando con esclusiva discrezionalità tutte le scelte del partito, svincolati da qualsiasi controllo da parte degli iscritti e degli elettori e abbia consentito di instaurare un vero e proprio regime oligarchico che viene trasmesso alle Istituzioni pubbliche dal momento che i membri dei gruppi dirigenti dei partiti scelgono i candidati e quindi gli eletti alle cariche pubbliche (in primo luogo se stessi). Con questa prassi i dirigenti dei partiti, diventati autoreferenziali, sono i veri unici detentori della “sovranità popolare”, e si autoconservano a vita, in molti modi, con grandi e assurdi privilegi.
Gli anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione sono stati caratterizzati da una palese diffidenza verso forme di intervento pubblico e di regolamentazione legislativa dei partiti, nella convinzione che fosse meglio garantirne la libertà nel regime privato delle associazioni non riconosciute. Perfino quando vi furono i primi interventi legislativi a favore del finanziamento pubblico si preferì il criterio di finanziare i partiti senza riconoscerli, piuttosto che riconoscerli senza finanziarli. Oggi, dopo le straordinarie vicende che hanno stravolto il quadro politico e che hanno prodotto il fenomeno della “partitocrazia senza partiti”, un sistema, cioè, non più organizzato e ideologico come erano una volta i partiti, il problema si pone in termini di preoccupato timore per la salvaguardia della democrazia. E’ fondamentale affrontare il tema della regolamentazione giuridica che restituisca ai partiti il ruolo di raccordo fra i cittadini e le istituzioni nel rispetto del principio essenziale dalla democrazia in nome del quale ciò che riguarda tutti deve essere deciso, per quanto possibile, da tutti. Il compito è estremamente difficile. Quasi tutti gli elementi giocano a sfavore. I gruppi dirigenti dei partiti, che sono anche membri del Parlamento, possono fare blocco per conservare la posizione di potere acquisita e bocciare i tentativi di modifica della legge elettorale che ha consentito la loro elezione senza la scelta degli elettori. E’ probabile che debbano restare nei “cassetti” le proposte presentate per l’ attuazione dell’art. 49, per paura da parte dei parlamentari che la vita democratica nei partiti possa costituire un rischio per la conservazione del potere su cui dovrebbero discutere.
Appare assente la voce dell’opinione pubblica ampiamente influenzata dal vigente regime che imbavaglia, soprattutto col controllo del finanziamento pubblico, la libertà della stampa e delle TV e ne fa strumento pilotato del sistema illiberale, che governa il paese. Anche gli autorevoli esponenti della scienza giuridica e politica, che numerosi denunciano il grave stato delle istituzioni, sono inascoltati e nulla possono a causa del distacco che si è creato nel paese tra la cultura e la politica che ha il potere esclusivo di decidere nelle pubbliche istituzioni.
Siamo, d’altronde, veramente al paradosso ove si pensi che, da oltre vent’anni, prevale una corrente di pensiero, politicamente incontrastata, secondo la quale sarebbe stato proprio il “modello” disegnato dalla Costituzione (fino a ieri giustamente definito uno dei più avanzati al mondo) a generare la patologia istituzionale che l’Italia oggi attraversa. E non c’ è da meravigliarsi più di tanto: la storia si può ripetere, anche nel secolo appena trascorso il popolo decise, in nome della libertà, con leggi elettorali simili a quelle vigenti oggi, di liberarsi della democrazia e di instaurare un regime dittatoriale antipartito.
Sembra di vivere un clima di rinuncia alla democrazia come bene da difendere e ripristinare a tutti i costi. Non risulta diffusa a sufficienza la consapevolezza del danno che produce l’anomala legge elettorale, incostituzionale, che ha designato i rappresentanti del “potere costituito” a tutti i livelli, in grado di auto-ricostituirsi secondo le decisioni dei suoi stessi dirigenti. Mentre sono scomparsi i partiti come organismi democratici aperti all’ingresso di tutti i cittadini e come strumenti per l’ esercizio della sovranità, viene impedito ai partiti diversi da quelli “che già occupano” le istituzioni di concorrere su un piano di parità. Gli uomini scelti dai dirigenti dei partiti già presenti nelle istituzioni possono veramente prendere le decisioni politiche mentre agli altri è dato esprimersi fuori dal Parlamento e senza mezzi, senza procurare danni.
Intanto molti politici protagonisti della crisi del sistema democratico sono ancora presenti e governano dagli anni Novanta una “Seconda Repubblica”, riciclata, autoreferenziale. Sono gli stessi che, abusivamente e impropriamente, evocano la democrazia e la libertà in nome del “popolo sovrano”, che hanno tradito. Sono gli stessi che, insieme ad altri, amici e solidali dietro le quinte, negli anni, hanno venduto la sovranità dello Stato, le sue istituzioni e la sua economia, a poteri e organismi internazionali non eletti dal popolo e, quindi, non democratici, contro le norme della nostra Costituzione.