In Sardegna vince il centrodestra, ma a Solinas restano tre gatte da pelare più una
di Francesca Matta
La Sardegna ha scelto Christian Solinas (centrodestra) come nuovo Presidente della Regione con il 47,8% di preferenze (363.485 voti) contro l’avversario Massimo Zedda (centrosinistra), che ha raccolto il 32,9% dei consensi (250.355 voti). Terzo Francesco Desogus del M5S con l’11,2% (85.046 voti). Un risultato che lascia interdetti da entrambe le parti perché 100 mila voti di distacco su circa 700 mila totali (53,8% degli aventi diritto) non possono essere considerati una “vittoria schiacciante”.
La verità è che non ha vinto nessun partito, ma è stata la forza della coalizione a dettare i numeri. Per il centrodestra, infatti, i partiti nazionali hanno raggiunto insieme appena il 24,1%, con la Lega capolista all’11,4%, Forza Italia all’8% e Fratelli d’Italia al 4,7%. A dare man forte alla coalizione ci hanno pensato i partiti locali: primo fra tutti il Partito Sardo d’Azione, guidato da Christian Solinas, con il 9,9% dei consensi, seguito dai Riformatori sardi con il 5%, Sardegna 20Venti al 4,1% e Pro Sardinia – Unione di Centro con il 3,7% ai quali si sommano altre piccole liste radicate sul territorio.
Stesso discorso vale per il centrosinistra, in cui la somma dei partiti nazionali è arrivata al 17,3% con il PD al 13,5% e Liberi e Uguali al 3,8%. Seguono i partiti locali con Campo Progressista Sardegna, guidato da Massimo Zedda, al 3,2%; Noi, la Sardegna con il 2,8%; Futuro Comune al 2,6% e Sardegna in Comune (che segue il progetto politico Italia in Comune voluto da Federico Pizzarotti, sindaco di Parma) che ha raccolto il 2,5% dei consensi. Anche in questo caso ci sono altre liste minori che hanno concorso al risultato finale.
L’unico partito ad aver patito la mancanza di un supporto locale è il Movimento 5 Stelle che ha scelto di correre da solo, coerentemente con quanto fatto finora (con la Lega al governo si parla di “contratto di governo” e non di una vera e propria coalizione). Ma con il suo 11,2%, il partito guidato da Desogus ha conquistato 6 seggi all’opposizione nel Consiglio regionale su 24 in totale, contro i 36 seggi della maggioranza. E proprio per questo motivo il M5S giocherà un ruolo fondamentale sia per ciò che riguarda la nuova stagione politica in Sardegna, sia per quanto riguarda l’immagine stessa del partito: come si comporterà rispetto alle decisioni della maggioranza, in cui siederà la Lega con 8 seggi, oggi alleata nel governo nazionale? E al contrario, darà man forte all’opposizione locale a guida PD con 8 seggi o proporrà un altro contratto sui punti in comune? Potrà essere, questa, una prima sperimentazione di alleanza tra pentastellati e dem?
D’altra parte, anche al neoeletto Presidente Solinas restano tre belle gatte da pelare: riforma della sanità, continuità territoriale e lavoro. Sono questi i “tasti dolenti”, ancora irrisolti, che hanno portato alla bocciatura della giunta uscente guidata da Francesco Pigliaru (PD).
Non è piaciuta per niente la riforma della rete ospedaliera firmata da Luigi Arru, l’ormai ex assessore alla Sanità, approvata dal Consiglio regionale nell’ottobre 2017. Una manovra che, in estrema sintesi, per ridurre la spesa sanitaria ha chiuso diverse strutture e reparti accorpandoli nei centri cittadini maggiori dell’isola (Cagliari in primis), creando fortissimi disagi nelle aree periferiche, che soffrono oltretutto la mancanza di una rete trasporti adeguata. Risultato? La riforma è stata bocciata a settembre 2018 dal Ministero della Salute per una serie di rilievi su alcune incongruenze nella programmazione dei posti letto, ma soprattutto sulle reti tempo-dipendenti come quella traumatologica e sulla eccessiva frammentarietà nell’ambito delle reti di specialità. Inoltre, è stata chiesta anche la cancellazione della selezione dei direttori di distretto che “presenta una serie di anomalie gravi che attribuiscono al direttore generale dell’Ats massima discrezionalità nell’attribuzione degli incarichi”. C’è da dire che la riforma fu duramente criticata, in tempi non sospetti, anche dal sindaco di Cagliari Massimo Zedda.
Continuità territoriale, altra questione ancora parzialmente irrisolta che scalda gli animi degli isolani. Con l’approvazione del precedente assessorato ai Trasporti guidato da Carlo Careddu, Alitalia si accaparra tutte le rotte su Cagliari, Olbia e Alghero, spazzando via la concorrenza di Air Italy e dettando di fatto il monopolio sui prezzi in continuità territoriale nell’isola. Sono in tutto 6 le rotte offerte dal 17 aprile aprile 2019 verso gli scali di Milano Linate e Roma Fiumicino per i prossimi tre anni, con tariffe calmierate sia per i residenti che per i non residenti così da incrementare il flusso di turisti nell’isola. Nell’accordo è previsto inoltre un aumento di capienza del +49%, con un forte incremento per le tratte Alghero-Linate-Alghero (+109%) e Olbia-Linate-Olbia (+66%). Un passo avanti a cui si è arrivati in seguito alla bocciatura del piano precedente da parte Corte dei conti nell’aprile 2017. Restano, però, dei quesiti irrisolti: il sostanziale monopolio di Alitalia – che oltre alla questione relativa al “prezzo unico” potrebbe creare forti disagi anche in caso di sciopero della compagnia – e la totale assenza di collegamenti con il sud Italia e altri centri maggiori (Bologna, Torino, Verona)
Infine, il tema dei temi: il lavoro. La nuova giunta regionale guidata dal Presidente Solinas si trova in una situazione di relativa ripresa economica dell’isola, con un tasso di disoccupazione all’11,2% (-3,4% rispetto al 2017). Si contano 626 mila occupati in totale, 25 mila in più rispetto allo stesso periodo del 2017, tornando quasi ai livelli pre-crisi del 2008 (10,9%). Ma il lavoro in Sardegna è in crescita anche in base all’indicatore del tasso di attività: guadagnati +3,6 punti percentuali (dal 60,3% al 64,0%), con un incremento sia della componente femminile (+5,4), sia di quella maschile (+2,0). In più, calano gli inattivi al -10,1% (da 430 mila a 386.400 mila) (Istat, 2018). Numeri che fanno ben sperare, sebbene la disoccupazione giovanile sia ancora al 43,4% (-13% rispetto al 2015), tra le più alte in Italia. E prima causa dello spopolamento della Sardegna: nel 2018 sono stati 3288 i sardi che hanno lasciato l’isola, per la maggior parte giovani. E il trend non sembra destinato a invertire la rotta.
Tre sfide cruciali per non perdere fin da subito il consenso guadagnato alle ultime elezioni dalla coalizione di Solinas. Che, tra le altre cose, si è ripromesso di far valere l’autonomia della Sardegna, forte dell’appoggio del “suo” Partito Sardo d’Azione, un tempo indipendentista e antifascista e che oggi vira a destra alleandosi con la Lega di Matteo Salvini. Una contraddizione più sostanziale che teorica – come invece si vorrebbe far credere – che potrebbe costare caro allo stesso Solinas: in primis dovrà contrattare per la zona franca integrale, punto fermo del programma sardista e che il leader del Carroccio non è riuscito ancora a incassare per via, si è detto, del no secco del ministro all’Economia Giovanni Tria. Secondo, ci sono ancora in ballo quei 285 milioni di euro di accantonamenti statali, già inseriti dalla giunta precedente nella Legge finanziaria perché “cosa nostra” (con il beneplacito della Corte Costituzionale), ma su cui il governo gialloverde continua a fare orecchie da mercante.
Tutto questo dovrà essere portato avanti contemporaneamente all’alleanza con la Lega, che lo ha accolto tra i suoi prima in Senato e poi gli ha spianato la strada con una martellante campagna elettorale in cui Salvini ci ha letteralmente messo la faccia. Ma che, in fin dei conti, sembra più interessato a portare avanti l'”autonomia differenziata” delle regioni del Nord rispetto a quella sarda. E forse è proprio per questo che qualcuno, fuori dai seggi, si chiedeva se in Regione ci sarebbe andato davvero.