Informazione e dis-informazione al tempo dei social network
Il potere di Facebook nella formazione dell’opinione pubblica
di Carmen Corda
Oggi grazie ad Internet abbiamo facile accesso ad un flusso di informazioni enorme, riceviamo quotidianamente un bombardamento di notizie, immagini, opinioni, nel quale è difficile orientarsi, è difficile scegliere. Questa prima constatazione quasi costringe ad una semplice quanto ovvia considerazione: troppa informazione porta con sé il rischio della disinformazione.
Le notizie in rete sono alla portata di tutti, con la sola eccezione di quella fascia di utenti che per ragioni spesso anagrafiche non utilizzano Internet e si informano attraverso altri canali, ma parliamo ormai di una fetta della popolazione sempre più marginale. Non tutti però sono in grado di scegliere e distinguere, responsabilmente e con competenza, una notizia attendibile da una che non lo è, una notizia vera da una falsa (fake news). Perché sì, alcune notizie sono inventate, spesso costruite ad hoc al fine di influenzare l’opinione pubblica, positivamente o più spesso negativamente, su un determinato argomento. I social network, Facebook in particolare, sono il contenitore perfetto per la dis-informazione che canalizzano e al tempo stesso producono, contribuendo alla delegittimazione della professione giornalistica, già pesantemente sotto attacco, un attacco che investe, direttamente o indirettamente, un’intera categoria.
L’obiettivo della dis-informazione è il consenso nelle sue diverse declinazioni e questo rappresenta di per sé uno stravolgimento rispetto al fine che un’informazione seria, obiettiva e oggettiva deve perseguire, ossia la verità: compito del giornalista è concorrere ad una descrizione obiettiva e oggettiva della realtà. Ma la realtà e la verità spesso non piacciono ed è preferibile quindi uno specchio nel quale si riflette ciò che le persone pensano, una confort zone nella quale si trovano continue conferme di idee preconcette, di pregiudizi, opinioni, gusti e preferenze che già si possiedono. In tal senso Facebook è uno strumento straordinario che consente una facile quanto pericolosa semplificazione della realtà: accetto quel che mi piace, rifiuto quel che non mi piace. Non so chi l’ha detto, non mi interessa minimamente verificarlo ma mi piace, sono d’accordo, quindi “like”!
Il popolo di Facebook non è una audience passiva, ma fortemente attiva: le informazioni vengono condivise, diffuse – e la diffusione diviene poi incontrollabile – spesso senza nessun tipo di verifica sulla veridicità delle notizie, sull’autenticità di un’immagine. Inoltre Facebook è una piattaforma nella quale ognuno può dire la propria, uno spazio nel quale non si fanno le giuste distinzioni tra le opinioni degli esperti e quelle degli incompetenti; tutti indistintamente disquisiscono di politica, economia, giustizia, medicina, così come di clima e sport. Su Facebook si propongono ricette di cucina come di politica, consigli per i viaggi come cure mediche; su Facebook si curano le malattie e si fanno processi condotti da un’opinione pubblica fortemente punitiva e vendicativa che suggerisce nella maggior parte dei casi di “buttare la chiave” e sempre più spesso invoca la pena di morte. C’è una crescente diffidenza verso l’obiettività dei dati oggettivi e dell’opinione degli esperti, il percepito ha un peso maggiore della realtà ed è spesso disancorato dai dati di fatto che danno invece la consistenza esatta di un fenomeno. Basti pensare alla percezione rispetto al tema dell’immigrazione o a quello dei vaccini, solo per fare due esempi piuttosto noti. Il pericolo del rigetto delle competenze scientifiche merita una riflessione molto seria. Così come meritano una riflessione altrettanto seria la libertà di opinione e di espressione, una grande conquista dalla quale non ci sogniamo di tornare indietro, ma questa non deve essere intesa nel senso di un esercizio incontrollato, perché un diritto che non incontra limiti cessa di essere un diritto e diviene abuso. L’esercizio incondizionato di quelle stesse libertà che sono il cardine della democrazia ne stanno compromettendo la sostanza: senza una descrizione condivisa della realtà non può esserci un vero confronto democratico. La democrazia rischia di crollare sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.
A seguito di un report pubblicato da Avaaz – un’organizzazione non governativa internazionale – Facebook ha bloccato 23 pagine di bufale e disinformazione, pagine che hanno costantemente diffuso materiale ingannevole e disinformazione politica agli utenti contribuendo pesantemente ad alterare la loro percezione della realtà. Certo 23 pagine sono un numero esiguo rispetto al totale, ma questo episodio è sintomatico di un problema che forse non stiamo ancora considerando nella giusta misura.
Il parere di una voce esperta. Vittorino Andreoli, psichiatra di fama internazionale punta il dito contro i social network – e in generale contro tutti i simulacri del virtuale – che considera un vero e proprio male del nostro tempo. Lo scienziato tuona contro Facebook e non usa mezzi termini: «andrebbe chiuso. Lì abbiamo perso individualità, crediamo di avere un potere che in realtà è inesistente. L’individuo non sta nelle cose che mostra ma in ciò che non dice. Invece i social ci spingono a dire tutto, ci banalizzano. I social sono un bisogno di esistere perché siamo morti. Creano una condizione di compenso per le persone frustrate […]. Quando non si sa più distinguere tra virtuale e reale è pericoloso. Si estende l’apprendimento virtuale nella propria casa, nella propria vita». Il professor Andreoli esprime particolare preoccupazione per i giovanissimi, i cosiddetti millenials: «sono molto preoccupato, non siamo più in grado di aiutarli, c’è qualcosa che non funziona a livello sociale».
«Zuckerberg va fermato», a dirlo è lo stesso co-fondatore di Facebook Chris Huges che ha lasciato l’azienda nel 2007. Huges ritiene che la società dovrebbe essere scorporata perché «mette a repentaglio la nostra democrazia», anche in termini di concorrenza di mercato. «È lui (Zuckerberg, N.d.R.) che decide come configurare l’algortimo, che decide cosa le persone vedono, quali sono le impostazioni della privacy e persino che messaggi ricevono. È lui che detta le regole per distinguere i contenuti violenti da quelli semplicemente offensivi». Così come è lui che decide che un contenuto non è né questo né quello. In altre parole, «ha uno strapotere pericoloso per tutti». Chi è responsabile di questo enorme potere di cui gode? Huges ha le idee molto chiare in merito: i governi e la Federal Trade Commission (l’organizzazione governativa statunitense che si occupa della tutela dei consumatori e della concorrenza). Quando il co-fondatore di Facebook sottolinea la necessità di una scorporazione, fa riferimento all’acquisizione di Instragram e WhatsApp, avvenute rispettivamente nel 2012 e nel 2014. Questo ha consentito a Zuckerberg di aumentare a dismisura il suo potere: più dati, più danni. La soluzione auspicata è quella che vede scorporate le altre due piattaforme e l’adozione di regolamenti chiari e severi su privacy ed hate speech (discorso di incitamento all’odio). Altrimenti detto, nuove regole per Internet a beneficio e tutela di tutti.
Ognuno di noi, nel frattempo, ha invece una soluzione più semplice, più a portata di mano, come suggerisce il professor Andreoli: usare la nostra testa, il nostro cervello, sfruttandone tutte le sue straordinarie potenzialità.
Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza