L’incoronazione di Santa Greca
di Angelo Sanna
– prima parte –
La personalità di Don Maxia parroco del nostro paese dal 16 gennaio 1922 al 30 dicembre 1940 la si evince dagli atti compiuti, lo si desume da quanto fatto e soprattutto da come lo ha fatto. La figura umana e di devoto di Santa Greca che si evidenziano nel Reverendo è notevole. Sicuramente una personalità come poche, teso a concretizzare una serie di progetti e idee che, se pure delle volte realizzate in modo contraddittorio, tendevano sempre a far risaltare la figura della nostra Santa, la Beata Vergine e Martire Greca.
Don Maxia aveva uno spirito innovativo, non sempre si adeguava alla gerarchia ecclesiastica e in alcune occasioni la prevaricava, tanto che subiva le critiche dei superiori, degli storici e archeologi dei tempi e dai suoi stessi fedeli. La carica ricoperta gli fece assumere suo malgrado, molte responsabilità che non sempre erano dovute a sua volontà, anzi! Il progetto al quale teneva di più era quello dell’incoronazione di Santa Greca.
Il 1928, quello precedente e quello successivo furono per il nostro paese anni di importanza memorabile.
Alla fine della festa di settembre del 1927, il parroco scrisse sul “Liber Chronicus”: … “trattai a S.E. Rev.ma Mons. Ernesto M. Piovella dell’idea, da tempo accarezzata, d’incoronarla con tutta solennità nella festa di settembre del venturo anno”.
Don Maxia informò subito la popolazione che, avuta risposta positiva dall’arcivescovo, nel 1928, si sarebbe tenuta la cerimonia dell’Incoronazione di Santa Greca. “Quest’anno 1928 sarà quello fortunato del grande avvenimento dell’Incoronazione di S. Greca”. Non lasciò niente al caso e si dimostrò un ottimo organizzatore, tanto che, scrive ancora: “Per riuscire una straordinaria manifestazione di Fede col massimo ordine e perfezionamento, fu fatta dal Rev. Parroco una Giunta Direttiva…” la giunta direttiva era composta da:
Presidente: Don Maxia
Vice Presidente: Mantega Raffaele
Cassiere Generale: Peppino Murenu
Segretario: Aresu Evangelino
Alle loro dipendenze furono formati 11 comitati:
1) Imbandieramento: Presidente Pusceddu Francesco, 6 membri.
2) Palchi Presidente: Bellisai Attilio, 17 membri.
3) Alloggi Presidente:Murenu Antioco, 4 membri.
4) Arco Trionfale Presidente: Mocci Ottorino, 27 membri.
5) Ordine Pubblico Presidente: Peddis Vito, 6 membri.
6) Festeggiamenti Civili Presidente: Collu Albino, 3 membri.
7) Bandiere Presidente: Tidu Efisia, 4 membri.
8) Canto ed Arredi Sacri Presidente: Murenu Ida, 44 membri.
9) Cartellini Presidente: Collu Nina, 28 membri.
10) Fiori Presidente Matta Enrichetta, 12 membri.
11) Urna Presidente Pusceddu Luigia di Francesco con 7 membri .
Un totale di 163 persone: “Questa mobilitazione di persone ha suscitato nel paese grande entusiasmo.”
Sul bollettino “L’Aurora di Decimo” chiese aiuto, sia economico che morale e materiale ai fedeli di tutta la zona. La cosa fu accolta con molto entusiasmo, non solo a Decimo e nei paesi limitrofi ma soprattutto a Cagliari.
L’orafo cagliaritano Francesco Palladino, ebbe incarico di preparare la corona, un gioiello molto apprezzato, che fu esposto in città nella via Manno nel negozio di Castangia, si valuta che mezza Cagliari andò ad ammirarla. Era costata 7500 Lire. Parte della somma fu offerta dai fedeli, parte dalla vendita di pegni d’oro della Santa tenutasi in Decimo e San Sperate, previo permesso della Santa Sede. Tutto quanto già programmato e proposto per don Maxia non erano sufficienti. Propose all’arcivescovo di fare una ricognizione delle Reliquie della Santa. Come capita in questi casi fu raccomandata la massima prudenza e discrezione. L’Arcivescovo chiese che fosse fatta una ricognizione, praticamente segreta. Il compito fu affidato al Signor Raffaele Mantega, presidente degli uomini cattolici e provetto muratore, il 13 gennaio 1928. Nella descrizione di Don Maxia della ricognizione risultano evidenti le precauzioni, la cura che il reverendo e il Signor Mantega impegnarono. Dai documenti si presume che fosse la prima ricognizione fatta dal 20 maggio 1789. Fu trovata la pergamena autenticata dall’Arcivescovo Melano ma non la prima bolla del 1633 quella del Vescovo Machin. La ricognizione ufficiale e pubblica fu fissata per il 26 settembre 1928.
In attesa di tale occasione il sacerdote costituì un’associazione di giovinette che avevano il compito di reperire somme per l’acquisto di due cassette, una di noce e una d’argento per custodire le reliquie che sarebbero poi state riposte in un’urna di bronzo dorato. Alla fine della festa del primo maggio decise di costruire accanto alla chiesa il campanile, modificando la facciata. Fu demolito il campanile a vela e costruito un timpano, per tutti questi lavori furono impiegati quattro mesi, a fine agosto tutto pronto. Alcune altre modifiche, come l’ampliamento della finestra che dava sulla facciata, il collocamento della croce sul timpano, come pure la quella alla sommità del campanile, diedero alla chiesa l’aspetto che Don Maxia desiderava. Vedremo, negli anni futuri, che le modifiche non erano ancora finite per dare alla chiesa un’aspetto austero e consono alla Santa che si venerava e non più l’aspetto di chiesa di campagna. A perenne ricordo di questi avvenimenti, sulla facciata e all’ingresso della chiesa vennero poste due lapidi.
Dopo aver preparato spiritualmente la popolazione il 26 settembre 1928 ci fu la ricognizione pubblica della reliquia, di fronte a tutte le autorità del paese e alla presenza dell’arcivescovo, che arrivato alle cinque pomeridiane fece aprire i contenitori delle reliquie. Queste deposte in un vassoio dal reverendo Lai, coadiuvato da Signor Mantega, furono portate in chiesa fra la commozione di tutti. Ci fu un silenzio religioso e di “affettuosa riverenza”. Il vescovo fece accendere due candele e leggere al teologo Dodero la pergamena trovata nel sarcofago, fu redatto un verbale e classificate le ossa.
In questa occasione l’atteggiamento di Don Maxia fu tra i più devoti, non volle privarsi neanche dei residui del sarcofago, come il terriccio e in particolare non fu d’accordo con il medico, dottor Satta, il quale asseriva che il malleolo sarebbe appartenuto a persona di sesso maschile per via della sua robustezza e quindi non a santa Greca. Fece porre tutto nel fondo del loculo “disobbedendo” a S.E. l’Arcivescovo.
Così annota nel libro storico: “S.E. Monsignor Arcivescovo mi ordinò di bruciarla, ma pensando che questa terra è un tesoro perché frammista ad ossa e sostanze della gloriosa Santa, la conservai.” Per l’osso giudicato maschile, così si esprime: “Il giudizio non mi sembra esatto, e col tempo sarebbe necessario un esame più accurato, perché deve essere di Santa Greca”. Fu ancora lui il protagonista quando ripose le reliquie nei contenitori approntati, venne fatta firmare la pergamena all’Arcivescovo su sua preghiera e fatte esporre all’adorazione dei fedeli nella chiesa.
Il 30 settembre, già alle quattro del mattino si incominciarono a celebrare le messe. Alle dieci arrivò l’arcivescovo il quale dovette essere scortato dal maresciallo e dai carabinieri, per via della folla presente.
La processione si mosse per portare il simulacro della Santa nel grande campo accanto all’ex zuccherificio, Don Maxia seguiva con la bellissima corona posta su un cuscino di velluto. La cerimonia ebbe luogo fra gli evviva, gli applausi e l’accompagnamento della banda musicale. Lo stesso don Maxia valutò la presenza di fedeli in un numero di ventimila.
Vulcano n° 96