La Faida secondo il Codice della vendetta barbaricina
di Giuliana Mallei
La straziante cronaca nera di alcuni mesi fa ci ha raccontato un nuovo sanguinoso capitolo che ha visto la violenta esecuzione di un ragazzo di 19 anni di Orune e la scomparsa di un altro giovane di 28 anni di Nule. Dalle prime indagini sembrerebbe che i due fatti siano strettamente legati.
Non è nostra intenzione entrare nel merito delle indagini, siamo lontanissimi dal poter in qualche modo contribuire alla soluzione dei casi; vorremmo però riflettere riguardo all’istituto della faida. L’omicidio del giovane orunese ha fatto supporre che si fosse aperta una nuova fase della faida che ha interessato Orune dal 1965 fino quasi ad oggi e che ha visto circa 110 persone cadute per mano violenta.
La faida è un antica usanza tipica delle popolazioni barbariche germaniche propagatasi, dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente, anche in casa nostra. Un tempo la faida era considerata un diritto legato alla giustizia e, pertanto, legittimo; solo in epoche molto recenti è stata considerata un crimine.
Ma cosa è la faida? Essa consiste nello stato di inimicizia tra la famiglia di un individuo che ha subito un’offesa e la famiglia di colui che è ritenuto responsabile dell’offesa medesima. Partendo dal principio che “l’offesa deve essere vendicata”, come recita l’art.1 del Codice della vendetta barbaricina (messo per iscritto da Antonio Pigliaru), la famiglia dell’offeso delibera l’apertura della faida tramite l’attuazione della vendetta. Nessuno dei parenti può sottrarsi all’obbligo di partecipare fino a che il torto, considerato fatto a tutti i membri della famiglia, non sia stato pienamente vendicato.
A questo punto sorge un’altra domanda: cosa si intende per “offesa”? L’offesa è un’azione attuata con l’intenzione di ledere l’onore e la dignità di un altro e può consistere in un danno patrimoniale (ad esempio furto di bestiame, sgarrettamento di un gregge, ecc.), nell’ingiuria con falsità, nella delazione a scopo di lucro, nella non giustificata rottura di un patto (sia esso un accordo lavorativo oppure un fidanzamento), nell’omicidio.
La vendetta dovrà seguire tre livelli: dovrà essere Proporzionata, adeguata a recare un danno maggiore e analogo a quello subito; Prudente, ovvero dovrà essere attuata solo dopo aver avuto la certezza sulla responsabilità effettiva di chi ha recato offesa e vi sarà stato il fallimento di una ricomposizione pacifica; Progressiva, ossia l’attuazione della vendetta dovrà avvenire attraverso l’utilizzo di mezzi direttamente proporzionali all’aggravarsi o all’attenuarsi dell’offesa originaria.
Una volta accertata la gravità dell’offesa, la conseguente vendetta dovrà essere esercitata entro un breve lasso di tempo, ad esclusione dell’offesa di sangue che non cade mai in prescrizione. E’ bene precisare che l’azione offensiva attuata per vendicare una precedente offesa subita, costituisce a sua volta motivo di vendetta. In modo particolare la vendetta del sangue (ossia successiva ad un omicidio) costituisce a sua volta offesa grave anche quando è stata posta in essere per vendicare un’altra offesa di sangue.
Il lettore si domanderà: ma l’offesa può estinguersi? Certamente, in diversi modi. Come abbiamo visto essa può estinguersi da subito attraverso la mediazione di persone di buona volontà che cercano un dialogo per una composizione pacifica, quest’ultima consiste in un adeguato indennizzo o nell’andare a costituirsi dopo aver chiesto perdono. Se però l’offesa è stata arrecata con precisa intenzione di danneggiare e rovinare l’offeso, difficilmente potrà trovarsi un accordo. La storia delle faide sarde ci narra che l’estinzione dell’offesa avviene dopo diversi anni e in seguito alla morte di molte persone. Spesso la pace tra le due fazioni è stata suggellata da una cerimonia pubblica in cui le parti si incontrano per salutasi con una stretta di mano e un bacio e talvolta la pace è sancita con un matrimonio.
Ogni volta che in Sardegna avviene un omicidio che profuma di faida, tutti noi veniamo accusati di essere omertosi. L’omertà è la non disponibilità a comunicare ciò di cui si è a conoscenza alle forze dell’ordine. Questa mancanza di disponibilità è determinata dalla mancanza di fiducia nella Giustizia “continentale” degli spagnoli prima e dei piemontesi- italiani poi. La giustizia continentale non voleva sentire ragioni e non intendeva nemmeno capire le tradizioni e la cultura della nostra terra (notevolmente differenti da quelle spagnole e italiane), pertanto spesso la punizione era ingiusta o inadeguata.
I tempi sono cambiati e anche la Giustizia lo è, ma l’omertà esiste ancora e si traduce nella paura di perdere onorabilità e rispettabilità agli occhi della comunità. L’omertà non è solo sarda, come la cronaca ci racconta in questi giorni, essa può essere anche veneta o lombarda. Consideriamo la reticenza da parte dei compagni di scuola di quel giovane padovano morto, in circostanze poco chiare, a Milano durante un viaggio di istruzione, nessuno dei suoi amici dice come sono andate realmente le cose…
Ma nessuno osa definire tale reticenza “continentale”col nome esatto: Omertà.