La precarietà delle illusioni. Alessandro Serra torna sulle scene con “Il Giardino dei ciliegi”
di Marta Melis
Mentre ancora si sente l’eco del successo ottenuto col suo “Macbettu” – premio Ubu 2017 – Alessandro Serra apre la nuova stagione de “La Grande Prosa” Cedac dando vita all’ultima opera del drammaturgo russo Anton Čechov, “Il Giardino dei Ciliegi”, di cui Serra firma regia, drammaturgia, scene, luci e costumi. Debuttando in prima nazionale il 9 novembre al Teatro Massimo, lo spettacolo – prodotto da Sardegna Teatro – porta sulla scena Arianna Aloi, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Marta Cortellazzo Wiel, Massimiliano Donato, Chiara Michelini, Felice Montervino, Fabio Monti, Massimiliano Poli, Valentina Sperlì, Bruno Stori e Petra Valentini in un’opera evocativa e struggente.
Serra riesce a conciliare perfettamente l’anima concepita come farsesca e spesso ilare del testo cecoviano, con forti venature drammatiche che già in passato hanno fatto la storia della messa in scena di questo capolavoro russo tramite la regia di Stanislavskij in primis, ma anche grazie a quella memorabile di Strehler. La storia è quella di una famiglia aristocratica russa di inizio ‘900 e della proprietà in loro possesso, in cui rientra anche e soprattutto il meraviglioso giardino di ciliegi del titolo; un giardino che si fa metafora dell’illusione non solo dell’aristocrazia ma anche dell’ascendente borghesia, incarnata dal personaggio di Lopachin qui splendidamente interpretato da Leonardo Capuano, che ha calcato la scena con quell’intensità che già nel ruolo di protagonista in “Macbettu” aveva saputo conquistare il pubblico.
Grazie al tocco di Alessandro Serra, il dramma del distacco dalle illusioni sociali e personali dei personaggi – soprattutto della matriarca e proprietaria Ljuba – si carica di nostalgie e di rimandi all’infanzia tramite i leggiadri giochi di prestigio della governante Carlotta, i ricordi evocati dal vecchio maggiordomo Firs e soprattutto attraverso l’uso giocoso degli oggetti di scena, splendida punteggiatura a una scenografia minimalista e rarefatta che – lasciando spazio all’immaginazione dello spettatore – riesce a essere efficace, comunicativa e mai statica. Questi dettagli, l’attaccamento al passato e alle sue cose, sono elementi struggenti proprio per via dell’incombente perdita che i protagonisti dovranno affrontare.
La spada di Damocle della vendita della proprietà per sanare i debiti è perfettamente espressa tramite i giochi di luce, controluce e ombre che Serra ha saputo orchestrare in un connubio impeccabile col sonoro: i suoni, a volte solo apparentemente di scena, si trasformano in loop assordanti a dimostrare come quegli oggetti, quegli averi, tanto cari ai personaggi siano ormai sempre più precari, così come gli affetti.
Tramite scene animate da equilibri visivi che incantano e commuovono, Alessandro Serra riesce con originalità a dare ancora una volta nuova linfa a un’opera del passato, che farà sempre riflettere ogni qual volta ci sarà chi saprà accendere la magia immortale del teatro.