La terra delle donne visto da una donna
di Sara Saiu
Mi sono approcciata alla visione di questa pellicola nella totale inconsapevolezza del contenuto ma, lo ammetto, con la presunzione di ritrovarmi davanti l’ennesima rappresentazione stereotipata della nostra gente. E sbagliavo, eccome se sbagliavo. Riluttante per via del pregiudizio, mi sono accomodata nella poltroncina in attesa della programmazione. Inaspettatamente delle donne si incamminano dinanzi lo schermo, presentandosi come produttrice (Paola Sini), regista (Marisa Vallone) e attrici. Vederle e sentirle parlare mi ha proiettato, ancor prima che iniziasse il film, in un’altra dimensione. Con attenzione ho ascoltato le loro voci e scrutato i loro volti, cogliendo frequenze positive. Le giovani donne raccontano le esperienze intraprese e le difficoltà incontrate nei nove lunghi anni che hanno impiegato dal pensare al realizzare l’opera. In particolare la mente della produttrice nonché attrice protagonista Paola Sini è emersa con eleganza e umiltà. Nonostante gli sforzi intellettuali, economici e logistici volutici per costruire il film, l’obiettivo della Sini è stato, mi permetto di dire, egregiamente raggiunto. La sua promessa di poter assaporare con tutti i cinque sensi ogni singolo frame non è stata disattesa. Infatti, abbassate le luci e acceso il proiettore, tutto in me si è attivato e lasciato trasportare da una storia moderna ambientata un secolo fa. Mi ha fatto un po’ pensare alle storie che la Deledda raccontava ai suoi tempi e che, se fossero state trasposte all’oggi, avrebbero avuto lo stesso gusto di moderno. Il film va indietro al 1929 per dare inizio al racconto, nel periodo storico intercorso tra le due grandi guerre e caratterizzato da spunti progressisti inseriti in una civiltà per molti tratti ancora arcaica. Al di là della storia che non mi soffermerei a raccontare per non dare alcuna indicazione al lettore, mi soffermerei piuttosto genericamente sugli argomenti che scorrono per tutto il film. Scorrono non è un termine casuale, ma è legato allo stato liquido degli elementi che aprono e che chiudono il film: il vino e il liquido amniotico. Non per nulla l’elemento caratterizzante la protagonista è l’acqua, elemento che circonda la nostra isola e che più volte vedremo, ascolteremo e sentiremo quasi scorrerci addosso. Dai tratti fortemente simbolici l’acqua, in tutte le culture arcaiche è sinonimo, tra le altre cose, di fertilità e purificazione. Di eccezionale intensità sono state due scene del film: una, relativa alla nascita di un bambino con un parto in acqua, l’altra il “battesimo” di una fanciulla sempre in acqua. Acqua che vendiamo in molte immagini di mari e di sorgenti, fiumi e cascate che la Sardegna ha incastonati nel suo territorio.
Protagoniste del film sono indiscutibilmente le donne ma non mancano i ruoli chiave per i personaggi maschili.
La donna intorno alla quale gira tutta la narrazione è Fidela, figlia settima e pertanto maledetta che sarà chiamata a svolgere le funzioni riservate, per tradizione, a chi nasceva come settima figlia femmina. Nascita e morte sono le fasi che la protagonista deve gestire nella sua comunità, scongiurando l’interferire di maledizioni e malauguri. Nel contempo tematiche come la fierezza matriarcale a tratti celata da ignoranza e cattiveria, ossessioni create da una cultura rigida volta a pretendere la donna come mera procreatrice, fenomeni maniacali dettati dall’abbandono materno, sessualità repressa, autoerotismo e sopraggiungere del menarca, forte commistione tra oscurantismo cattolico e tradizioni permeate di credenze e simboli, sono solo alcuni dei temi tabù toccati nel film. Temi nei quali non si può fare a meno di immedesimarsi perché, in fondo, interessano tutti. La produttrice è riuscita a far provare sensazioni forti, a emozionare e stupire lo spettatore, incuriosendolo, talvolta facendolo sorridere e, talvolta, facendolo piangere. Un plauso particolare va fatto Paola Sini, indiscutibilmente intensa e bellissima nell’interpretare Fidela, Valentina Lodovini, pazzesca nella veste di Marianna, sorella di Fidela, Syama Rayner, incantevole figlia d’anima di Fidela, e poi ancora Jan Bijvoet, Hal Yamanouchi, Alessandro Haber, Freddy Fox, sono solo alcuni dei nomi di un cast d’eccezione, meritevole di aver interpretato magistralmente le loro parti. Un dovuto ringraziamento va anche ai Comuni che hanno ospitato le riprese, mostrandoci luoghi energeticamente straordinari tra i quali Su Stampu de su Turrunu di Sadali o il santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri, entrambi luoghi in cui, anche se in modo diverso, l’acqua è elemento centrale.
L’opera è una produzione Fidela Film/Armeni G.E.S. Productions/New Time in collaborazione con Rai Cinema