L’individuazione: quando Jung ci invita a diventare noi stessi (ma senza esagerare)


Cari lettori, oggi vi porteremo in un viaggio nell’affascinante mondo dell’individuazione secondo Carl Gustav Jung. Preparatevi a un’avventura introspettiva che vi farà esclamare “Eureka!” almeno una decina di volte (o forse solo due, se siete particolarmente resistenti all’auto-scoperta).

Jung, il celebre psichiatra svizzero noto per la sua passione per i simboli e per aver reso l’inconscio collettivo una star del pensiero psicoanalitico, ha coniato il termine “individuazione” per descrivere il processo attraverso il quale diventiamo… noi stessi.



Sì, avete capito bene: secondo Jung, passiamo gran parte della nostra vita cercando di diventare ciò che già siamo. Un po’ come cercare gli occhiali che abbiamo sul naso, ma con molta più fatica e qualche crisi esistenziale in più.
Ma cos’è esattamente l’individuazione? Immaginate di essere un attore in un film della vostra vita, ma invece di seguire un copione scritto da qualcun altro, state improvvisando la vostra parte migliore.

L’individuazione è quel processo che vi porta a togliervi le maschere sociali, a smettere di recitare ruoli che non vi appartengono e a diventare autenticamente voi stessi. In pratica è come fare un makeover dell’anima, ma senza bisogno di tinture per capelli, creme anti-age o estenuanti sessioni in palestra.


Jung sosteneva che questo viaggio verso il Sé autentico fosse il compito più importante della nostra vita. Niente pressioni, eh? Solo il destino della vostra anima in gioco, sempre che esista. Ma non preoccupatevi, avete tutto il tempo del mondo… o almeno fino alla vostra prossima incarnazione, se credete in queste cose.
Il processo di individuazione coinvolge l’integrazione di varie parti della nostra psiche. C’è l’Io, il protagonista della nostra coscienza, che deve imparare a dialogare con l’Ombra, quella parte di noi che preferiremmo nascondere sotto il tappeto (insieme alla polvere e alle briciole di biscotti).

Poi c’è l’Anima (o Animus per le donne), la nostra controparte del sesso opposto interiore, che ci ricorda che siamo tutti un po’ drag queen dentro. E non dimentichiamoci del Sé, il grande capo di tutta l’operazione, che cerca di orchestrare questo caotico ensemble interiore come un direttore d’orchestra particolarmente paziente.

Ma attenzione: l’individuazione non è un pranzo di gala. Preparatevi a incontrare i vostri demoni interiori, a confrontarvi con le vostre paure più profonde e a scoprire parti di voi che non sapevate nemmeno di avere. È un po’ come fare pulizie di primavera nell’armadio della vostra psiche: troverete sicuramente qualche scheletro nascosto, ma anche quel maglione vintage che pensavate di aver perso anni fa e sorpresa vi sta a pennello!



Jung ci avverte che il processo di individuazione può essere doloroso e destabilizzante. Potreste sentirvi come se steste camminando su un filo sospeso nel vuoto, con l’inconscio che vi fa le linguacce da sotto. Ma non temete: è tutto parte del gioco. D’altronde, se fosse facile, lo chiamerebbero “shopping” e non “individuazione”.

Il nostro caro Carl Gustav ci suggerisce anche di prestare attenzione ai sogni, ai simboli e alle sincronicità che incontriamo nel nostro cammino. Sono come le briciole di pane di Hansel e Gretel, solo che invece di portarci a una casa di marzapane, ci guidano verso il nostro vero Sé. Quindi, la prossima volta che sognate di volare nudi in pubblico, non è (solo) il risultato di quel formaggio piccante mangiato prima di andare a letto, ma potrebbe essere un messaggio del vostro inconscio. Interpretatelo a vostro rischio e pericolo.


L’individuazione, secondo Jung, non è un processo che ha una fine definita. Non c’è un momento in cui potete dire “Ecco, ce l’ho fatta, sono individuato al 100%!” e ricevere una medaglia. È più come un viaggio infinito, un po’ come cercare di raggiungere l’orizzonte: più vi avvicinate, più si allontana. Ma non scoraggiatevi: il bello è proprio nel viaggio, non nella destinazione. E poi, pensate a quanto vi divertirete a raccontare le vostre avventure psichiche ai nipotini!




Jung ci ricorda anche che l’individuazione non significa diventare perfetti o superiori agli altri. Anzi, paradossalmente, più diventiamo noi stessi, più ci rendiamo conto di essere parte di un tutto più grande. È come realizzare di essere un singolo pixel in un’enorme immagine cosmica: unici e insostituibili, ma allo stesso tempo parte di qualcosa che ci trascende.

Quindi, cari lettori, se vi sentite pronti ad intraprendere questo viaggio verso il vostro Sé autentico, ricordate: portate con voi un senso dell’umorismo, una buona dose di pazienza e, perché no, qualche biscotto per lo spuntino. L’individuazione può essere un processo lungo e impegnativo, ma vi promettiamo che alla fine ne varrà la pena. E se non altro, avrete un sacco di materiale per la vostra prossima sessione di terapia!

In conclusione, l’individuazione secondo Jung è un po’ come fare un puzzle di se stessi, solo che i pezzi cambiano forma mentre li state mettendo insieme. Ma non preoccupatevi: anche se il risultato finale potrebbe non essere quello che vi aspettavate, sarà sicuramente un’opera d’arte unica. Proprio come voi.
E ricordate: se vi sentite persi nel labirinto della vostra psiche, fate come Teseo: seguite il filo. Solo che in questo caso, il filo è la vostra intuizione e il Minotauro… beh, potrebbe essere solo il vostro capo ufficio travestito. Ma questa è un’altra storia.

Buon viaggio verso voi stessi, esploratori dell’anima! E se incontrate Jung lungo la strada, ditegli che il suo concetto di individuazione sta ancora facendo impazzire psicologi e pazienti in egual misura. Sono sicuro che ne sarebbe orgoglioso.

Enrico Pitea


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