L’anaciclosi di Polibio e la democrazia


Duemila anni fa Polibio, storico greco e analista politico, teorizzava l’anaciclosi: il ciclo inesorabile con cui le forme di governo nascono, si sviluppano e decadono.

Una riflessione che, lungi dall’essere un mero esercizio accademico, oggi suona come un campanello d’allarme per le democrazie occidentali, sempre più esposte a instabilità e derive populiste.

Secondo Polibio, ogni sistema politico è destinato a degenerare. La monarchia, inizialmente garante di stabilità, scivola nella tirannide. L’aristocrazia, nata per bilanciare il potere, si corrompe in oligarchia. La democrazia, promessa di equità e partecipazione, degenera infine in oclocrazia, il dominio della folla, delle emozioni incontrollate e della demagogia.

L’antica Roma sembrava aver trovato l’antidoto a questa spirale distruttiva grazie alla sua costituzione mista, che bilanciava potere monarchico, aristocratico e democratico.

Eppure nemmeno l’ingegno istituzionale dei Romani riuscì a frenare l’inevitabile: la repubblica cadde sotto il peso delle sue stesse contraddizioni, lasciando il posto all’impero.

Oggi, la storia sembra ripetersi sotto nuove forme. Le democrazie moderne affrontano pericoli diversi, ma altrettanto insidiosi: la polarizzazione politica, la sfiducia nelle istituzioni, la disinformazione diffusa dai social media.

L’oclocrazia, temuta da Polibio, si manifesta nel caos della comunicazione digitale, nell’onda emotiva che sostituisce il ragionamento critico, nella crescente intolleranza verso il dissenso.

La lezione di Polibio è chiara: la democrazia non è un traguardo definitivo, ma un equilibrio fragile, da preservare ogni giorno.

Servono cittadini informati, capaci di discernere tra verità e propaganda. Servono istituzioni solide, che garantiscano trasparenza e giustizia. Serve, soprattutto, la volontà di difendere il dialogo e il compromesso contro la tentazione dell’estremismo.

Emanuele Mulas

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