Riflessioni sull’anarchia
Chi, come me, ha vissuto con intensità e passione partecipativa al movimento studentesco del 1968, sull’onda del maggio francese, è con orgoglio al richiamo dell’età giovanile, che ripensa a quell’esperienza definibile fase importante della propria formazione e futura maturazione politica e ideale con una forte matrice e impronta sociale.
Eravamo giovani, la gran la parte “figli del popolo”, che non va intesa come affermazione vuota e fumosa, anche se oggi da chi governa il Paese viene utilizzata con un significato alquanto spregiativo, ma che è invece pregnante di significati e contenuti valoriali che si richiamano ai soggetti attivi, dinamici e produttivi di ricchezza, ben consapevoli di rappresentare la parte più sana della comunità nazionale: mi riferisco ai lavoratori nei diversi settori dell’economia e dei servizi, ai lavoratori del mondo delle campagne, alle donne che svolgono spesso il delicato ed encomiabile compito di madri e di lavoratrici, ai giovani che vivono nella precarietà del lavoro per cui vengono privati di un dignitoso futuro e di crearsi una propria famiglia.
Ed allora, nel 1968, gli studenti, per la prima volta in Sardegna, s’incontrarono con la nascente classe operaia della nascente petrolchimica, delle miniere in fase di dismissione e con le organizzazioni portuali e dei pescatori del compendio lagunare di Santa Gilla.
Eravamo giovani, e seppure spesso su fronti opposti sul piano politico-ideale, ci siamo trovati uniti per conseguire obiettivi comuni: per la dignità del lavoro salariato contro le famigerate gabbie salariate che in qualche misura con l’autonomia differenziata si vuole introdurre tra regioni del Nord sviluppato ed il Sud arretrato, e per il diritto allo studio esteso e garantito anche ai figli dei lavoratori in senso largo del termine, fino ad allora di fatto esclusi dal poter frequentare liberamente e col sostegno pubblico gli studi universitari, come sancito dalla Costituzione repubblicana, uscita dalla Resistenza contro il nazifascismo e splendida sintesi dei valori più alti, sul piano etico-sociale, delle tre grandi correnti del pensiero moderno, il cristianesimo sociale, il liberalismo ed il socialismo.
I figli dei lavoratori venivano di fatto esclusi dal frequentare l’Università perché per ragioni economiche le famiglie non erano in grado di sopportarne le spese, ma soprattutto per ragioni politiche in quanto avrebbero potuto insidiare la riproduzione classista della classe dirigente al potere e al governo del Paese.
Il numero chiuso, riservato agli eletti (accotzaus), ad esempio, era imperante anche nelle facoltà umanistiche, come il Magistero. Pur superando, a pieni voti, la prova scritta, i figli dei lavoratori in genere, se non avevano santi in paradiso, venivano regolarmente bocciati alla prova orale senza appello.
Lascio a voi riflettere sull’estrazione sociale e cetuale degli ammessi.
È in questo contesto di ingiustizia sociale escludente che si sostanzia la lotta degli studenti per il libero e democratico accesso ai livelli più alti della formazione scientifica e culturale, e che sul piano pratico si risolveva con una lunga occupazione delle sedi universitarie e con grandi e partecipate manifestazioni pubbliche sotto la stretta sorveglianza e intimidatoria delle forze dell’ordine. Ebbene, vinta la battaglia per l’abolizione del numero contingentato nell’accesso agli studi universitari, se mi riferisco al mio corso di laurea, su 180 iscritti, soltanto 18 riuscirono a laurearsi nei quattro anni canonici. Diversi addirittura nella sessione estiva del quarto anno. Dieci fra questi entreranno quasi subito nella carriera universitaria, e dopo vari concorsi nazionali abilitati alla docenza in varie discipline d’insegnamento. L’estrazione sociale? Prevalentemente figli di operai, pastori e impiegati nelle istituzioni dello Stato.
Eravamo giovani e affascinati dai valori e ideali di libertà, di uguaglianza e di solidarietà sociale, in difesa soprattutto della dignità della persona, messaggi che provenivano dai movimenti politici di estrema sinistra: dall’anarchismo, dal marxismo-leninista, dal maoismo riferito alla rivoluzione comunista cinese.
E proprio sui libretti rossi di queste tre correnti di pensiero filosofico e della prassi politica indicata che nella gran parte dei figli del ’68 si è andata formando e maturando una coscienza politica nuova, volta soprattutto all’impegno per la promozione e affermazione dei diritti sociali, ma in particolare per la tutela della dignità della persona, obiettivo permanente dell’azione politica di Enrico Berlinguer, di cui lo scorso 7 giugno abbiamo ricordato il 40° della sua drammatica scomparsa.
Eravamo giovani e l’estremismo, definito da Lenin, artefice della rivoluzione d’ottobre per abbattere il regime zarista in Russia, come “malattia infantile del comunismo”, in quanto spesso acquisiva un carattere di natura piccolo-borghese, di un rivoluzionarismo confusionario e parolaio, arroccato su rigide posizioni dogmatiche che rifuggivano da ogni forma di compromesso anche quando era indispensabile trattare col padronato rivendicazioni economiche e politiche parziali, ha contribuito in maniera profonda alla formazione ideale politica della nostra generazione.
È vero, talvolta il movimento studentesco del ’68 ha assunto posizioni dogmatiche estremiste, come quando, Giovanni Gentile, estensore della riforma della Pubblica Istruzione nel 1923 e inventore dell’ideologia fascista, che aderir anche alla Repubblica Sociale Italiana esaltando le figure di Hitler e Mussolini, veniva definito, in maniera sbrigativa, il “filosofo del manganello”, forse anche perché si era convinti di eludere lo studio e la conoscenza del suo pensiero filosofico, alquanto ostico. Ma dimenticando anche un principio basilare della tenzone politica e filosofica che l’avversario per poterlo contrastare richiede una profonda conoscenza del suo pensiero.
Eravamo, talvolta inconsciamente, anarchici nel vero senso della parola, in quanto ripudiavamo un modello di società, quella costruita e imposta dal connubio fra potere economico e potere politico e di governo a trazione democristiana, con il pieno sostegno delle gerarchie ecclesiastiche, che di fatto e di proposito, in chiave antioperaia, misconoscevano lo spirito della Costituzione.
Venivano lesi di fatto il diritto ad un salario dignitoso, come pure il diritto allo studio, principi fondanti della Costituzione ed oggi pericolosamente minacciati dalle forze di governo neofascista con il varo della legge sull’autonomia differenziata che prevede e di fatto introduce livelli diversi di salario, di formazione culturale, nella sanità e nei servizi fra regioni ricche del Nord e di quelle arretrate del Sud.
Rileggendo, per questa occasione, gli scritti di Bakunin (Russia 30 giugno 1814 – Svizzera 1° luglio 1876), uno dei padri dell’anarchismo classico, con forte impronta socialista che si richiama anche a quel socialismo ante-litteram evangelico, riferito ad una società ad economia di sussistenza, al pensiero illuminista e al marxismo, non si può non restare affascinati e conquistati dal messaggio che inviano ancor oggi sul rispetto della dignità della persona, anche se eravamo consapevoli di rincorrere un’utopia. Come pure eravamo convinti che senza valori e ideali affascinanti e fascinosi non si sarebbe mai avviato quel processo di sviluppo verso il conseguimento del pieno riconoscimento della dignità della persona.
“Io sono un sostenitore convinto – scrive Bakunin – dell’uguaglianza economica e sociale, poiché so che al di fuori di questa uguaglianza la libertà, la giustizia, la dignità umana, la moralità ed il benessere degli individui, allo stesso modo che la prosperità delle Nazioni, non saranno mai altro che menzogne. Ma essendo anche sostenitore della libertà, condizione prima dell’umanità, io penso che l’uguaglianza debba stabilirsi nel mondo tramite l’organizzazione spontanea del lavoro e della proprietà collettiva delle associazioni produttrici liberamente organizzate … non tramite l’azione suprema e tutelare dello Stato”.
“La libertà di ogni individuo maggiorenne – prosegue Bakunin – uomo o donna, deve essere assoluta e completa. Libertà di andare e venire, di professare apertamente le sue idee, di disporre a piacimento della propria persona e dei propri beni; libertà di vivere sia onestamente el proprio lavoro, sia sfruttando vergognosamente la carità e la fiducia del singolo, purché siano volontarie e prodigate da individui maggiorenni”… “L’uomo diventa realmente tale quando rispetta e ama l’umanità e la libertà di tutti, e quando la sua libertà e la sua umanità sono rispettate, amate, suscitate e create da tutti”.
Questi obiettivi, questi ideali, questi valori imprescindibili per una parità di diritti fra i popoli, oggi più che mai messi in serio pericolo dal dilagare delle derive reazionarie, dittatoriali e autocratiche, con forte caratterizzazione nazionalista discriminante e guerrafondaia, non sono facili da conseguire, rimanendo per certi versi una pura utopia, il che comunque non deve essere presa a giustificazione del disimpegno a lottare per poterli conseguire.
L’utopia, come ben sapete, è la forza ideale interiore che ci spinge ad operare per un mondo migliore, per un futuro senza guerre, disuguaglianze sociali, etniche e religiose.
Il raggiungimento di questi obiettivi per l’anarchismo classico, avrebbe dovuto rappresentare “il trionfo dell’umanità, la conquista e il compimento della piena libertà e del pieno sviluppo materiale, intellettuale e morale di ciascuno, attraverso l’organizzazione assolutamente spontanea e libera della solidarietà economica e sociale più completa possibile, fra tutti gli esseri umani che vivono sulla Terra”.
Che cosa intendiamo per rispetto umano? “È il riconoscimento della dignità umana in ogni uomo o donna, qualunque sia la sua razza, il suo colore, il grado di sviluppo della sua intelligenza e della sua stessa moralità”.
Ma cosa intendiamo con la parola anarchia? Il termine anarchia deriva dal greco “an-archia”, che significa “senza governanti”, e spesso viene interpretato nel linguaggio comune come sinonimo di disordine e caos. Tuttavia questa interpretazione non rende giustizia alla ricchezza e alla complessità del concetto. L’etimologia di anarchia ci porta alle radici di una parola che descrive una visione del mondo basata sull’assenza di autorità imposta, sia laica che religiosa, dove le persone vivono in autonomia e cooperazione volontaria.
Contrariamente a quanto si pensa il significato semplice di anarchia non allude a un realtà caotica, ma a un’organizzazione sociale in cui le gerarchie e le strutture di potere vengono sostituite da forme di autogestione e mutualismo (società di mutuo soccorso). In questo contesto, una persona anarchica non è colui che aspira al disordine, ma piuttosto ad una società più equa e libera, dove le decisioni sono prese collettivamente e il benessere di tutti è considerato primario.
La visione anarchica si oppone all’idea che alcune persone debbano avere il potere di comandare sulle altre, promuovendo invece un modello di organizzazione basato sul consenso e sulla partecipazione attiva di tutti i membri della comunità.
Gli anarchici credono che, senza le costrizioni imposte dallo stato e dalle istituzioni autoritarie, gli individui sono in grado di organizzarsi in modo responsabile e solidale, promuovendo la giustizia sociale e la libertà individuale.
Il primo pensatore ad usare il termine anarchia in senso positivo è stato Pierre Joseph Proudom. L’autore francese ha definito l’anarchia come assenza di governanti e di potere al di sopra dell’individuo. Ha definito il principio federativo che deve regolare i rapporti fra gli individui e la comunità ed il principio del mutualismo che in economia sostituisce il rapporto di potere del lavoro salariato (padrone-operaio).
Altri autori e teorici dell’anarchismo sono stati Pëtr Kropotkin, Carlo Cafiero ed Errico Malatesta.
Il movimento anarchico in Italia ha una lunga e per certi versi antichissima tradizione, tanto da essere diventato un punto di riferimento per tutto l’anarchismo internazionale. La sua stori può essere, per il periodo contemporaneo,sommariamente suddiviso in quattro fasi:
1.- Dal Risorgimento al ‘900: l’anarchismo italiano in questa fase sviluppa la sua storia nell’ambito dei conflitti interni tra organizzatori e antiorganizzatori, ovvero tra tendenze collettive e individualiste. Fase caratterizzata, come vedremo, da azioni ed attentati individualisti contro re e altre autorità.
2.- Dal ‘900 all’avvento del fascismo: in questa fase, dopo la relativa prevalenza degli individualisti nella lotta antiautoritaria e libertaria, a prevalere sull’atomismo individuale e dei gruppi, sarà prevalente la scelta dell’operare collettivo nell’individuazione degli obiettivi strategici da portare avanti.
3.- Il periodo fascista: gli anarchici sono sottoposti ad una dura repressione da parte del regime fascista, per cui vengono confinati o sono costretti ad espatriare. Saranno comunque soggetti particolarmente attivi ed efficaci nella Resistenza, nella lotta al nazifascismo.
4.- Dal dopoguerra ad oggi: il movimento anarchico si riorganizza (Federazione Anarchica Italiana) e si sviluppa, seppur non esercitando più l’influenza del periodo ante-guerra, tentando di stareal passo con i tempi, e partecipando a diversi movimenti (movimento studentesco, antimilitarista, antinucleare ed ecologista …).
In breve sintesi vi segnalo gli avvenimenti più significativi che hanno segnato le diverse fasi.
1° – Il Risorgimento ha costituito un fertilissimo terreno di sviluppo del movimento anarchico italiano, grazie soprattutto all’influenza esercitata da Bakunin che nel 1864 era arrivato in Italia. La figura più illustre e largamente conosciuta è certamente quella di Carlo Pisacane (Napoli 1818-Sanza, 2 luglio 1857), duca di San Giovanni. Eroe risorgimentale, rivoluzionario e patriota di ideologia socialista (socialismo utopistico e libertario), di orientamento federalista d’impronta proudhoniana, viene definito il primo anarchico italiano. La sia figura è legata soprattutto alla fallita Spedizione di Sapri con l’obiettivo di sollevare i contadini contro il regime borbonico. Pisacane esortò i compagni a non colpire il popolo ingannato dai ciaurri, (sostenitori del re borbone e del suo regime) e sobillato dal clero. I rivoltosi furono massacrati uno ad uno a colpi di roncola, pale, falci. Pisacane si suicidava per non cadere prigioniero. Perirono in 83. Ricordate certamente alcune strofe del canto poetico della Spigolatrice di Sapri, scritta da Luigi Mercantini nel 1858, che recitano: “Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti. Me ne andavo un mattino a spigolare, quando ho visto una barca in riva al mare: era una barca che andava a vapore, e alzava una bandiera tricolore.”
Altro avvenimento importante fu la nascita nel 1872 dell’Internazionale dei Lavoratori, che sanciva una definitiva rottura con gli anarchici, che volevano una Internazionale federalista ed autogestionaria, in contrasto con i seguaci di Marx che propugnavano la gerarchizzazione della stessa.
Nota importante: nello stesso anno veniva costituita la prima sezione femminile dell’Internazionale Anarchica ad opera di Maria Luisa Minguzzi.
Molti anarchici sostennero le lotte siciliane dei Fasci Siciliani (detti anche Fasci siciliani dei lavoratori), movimento di massa democratico-socialista, sviluppatosi nell’isola dal 1891 al 1993, soprattutto fra proletariato urbano, braccianti agricoli, minatori ed operai. Stesso appoggio fu dato all’insurrezione in Lunigiana nel gennaio 1894 e a tutte le battaglie sociali e sindacali nella penisola (I° Maggio sulle otto ore lavorative, sciopero delle sigaraie del 1885).
La repressione governativa sarà durissima, costringendo le figure di primo piano come Cafiero. Merlino e Malatesta ed altri, a rifugiarsi al’estero. La repressione portava paradossalmente ad una maggiore diffusione di pratiche individualiste e d’azione diretta particolarmente violente:
– 1878: Giovanni Passamante tenta di assassinare il re Umberto I° a Napoli.
– 1894: Sante Caseiro pugnala a morte il presidente francese Sadi Carnot a Lione e Paolo Lega attenta a Roma alla vita dell’allora Presidente del Consiglio Francesco Crispi.
– 1897: Michele Angiolillo uccide a Sant’Aguida (Spagna) il primo ministro spagnolo Antonio Canovas.
– 1898: Luigi Luccheni, a Ginevra (Svizzera), pugnala a morte la Principessa Elisabetta d’Austria.
– 1900: Gaetano Bresci uccide a Monza con tre colpi di pistola il re Umberto I°.
2°. – Il nuovo secolo si apriva con le gravi difficoltà del movimento, schiacciato dalla repressione dall’assenza di figure di rilievo capaci di coagulare attorno a loro il movimento anarchico italiano. Nonostante tutto il movimento anarchico mostrava una sua certa vivacità essendo presente alla celebrazione del I° maggio del 1902. Come pure è presente negli scontri con le forze militari: otto morti nel 1903 a Torre Annunziata; quattro morti a Buggerru, durante lo sciopero dei minatori; quattro morti a Cerignola (Bari) nel 1904. Non sono presenti organizzativamente ai moti per il caro vita esplosi in Sardegna nel 1906 che videro quali protagoniste le sigaraie (oltre 550 donne) della locale Manifattura Tabacchi contro il carovita imposto dalla politica bacareddiana che segna la Belle Epòque della Cagliari di primo Novecento (via Roma, Palazzo Municipale, Bastione Saint-Remy, Via Manno (sventramento di Sa Costa) e congiungimento tra Piazza Yenne e Piazza Martiri.
3°- Il periodo dell’anteguerra e del fascismo, furono caratterizzati da un contrastato dibattito all’interno del movimento tra interventisti e neutralisti, che porterà a scissioni interne tra individualisti, che vedevano nell’atto personale l’unico mezzo efficace per contrastare l’arroganza dello Stato e delle classi dominanti, e i collettivisti, tra i quali si distinse Filippo Berneri, esponente di spicco dell’Unione Anarchica Italiana, che nel 1920 su iniziativa di Malatesta si separava dall’Unione Comunista Anarchica Italiana. Il Berneri per il suo anarchismo antidogmatico, libertario, anticentralista, federalista si segnalerà successivamente anche per il suo attivismo durante la Rivoluzione spagnola. A Brcellona si trovò a fianco di Carlo Rosselli e con tanta parte dell’antifascismo italiano e internazionale. Per il suo attivismo verso una graduale socializzazione dell’economia e delle istituzioni di governo subiva la repressione dei comunisti ormai prevalsi dopo l’avvento del governo di Juan Negrìn, che colpirono combattenti antifascisti non comunisti, anarchici ma anche comunisti non stalinisti. L’assassinio di Camillo Berneri avvenne durante la resa dei conti tra stalinisti e i loro avversari antifascisti conosciuta come le giornate di maggio. Il cinque maggio veniva prelevato insieme all’amico anarchico Francesco Barbieri dall’appartamento che i due condividevano con le rispettive compagne. I cadaveri dei due anarchici italiani furono ritrovati crivellati di proiettili. La moglie del Berneri allevò i figli di Antonio Cieri, anche lui caduto in Spagna.
La repressione fascista colpì senza pietà tutti gli ambienti antifascisti, compresi i militanti anarchici. Questi furono tra i più accaniti propugnatori della costruzione di un “fronte antifascista” che unisse tutti, al di là delle differenze ideologiche. Ad un generico piano di unitarietà aderino la CGdL, USI, UAI, Federazione dei portuali, Ferrovieri autonomi, e UIL. Il progetto restò più che altro sul piano teorico per le solite divisioni ideologiche e per l’assenza rilevante del Partito Comunista Italiano.
Nel momento più intenso dello squadrismo gli anarchici (insieme a socialisti, repubblicani, e comunisti disobbedienti alle direttive del partito unico fascista) furono immediatamente protagonisti di episodi di resistenza: gli Arditi del Popolo organizzarono un serio tentativo di resistenza proletaria armata contro il fascismo, infliggendogli dure sconfitte in diverse città (Sarzan, Parma, Civitavecchia e Viterbo).
Il dibattito interno al movimento si svolse prevalentemente su riviste e periodici che nacquero tra enormi difficoltà (clandestinità, minacce e azioni squadriste, difficoltà a reperire fondi, limitazioni drastiche della libertà di stampa, persecuzioni varie …).
Nel 1926 il governo fascista dichiarava illegale l’USI (Unione Socialisti Italiani) e la sessa UAI (Unione Anarchici Italiani): il che non fece altro che riportare in voga l’atto individualistico, dell’iniziativa personale: nel 1926 Gino Lucetti attentava alla vita di Mussolini; Michele Schirru, (sulla cui figura parlerà fra poco Angelo Sanna) e Angelo Sbardellotto furono condannati a morte per aver solo preparato un piano di attentato. Al riguardo gli interrogativi da sciogliere rimangono avvolti ancora in una coltre di nebbia.
Purtroppo al movimento anarchico non venne risparmiata la violenza fascista: durante la marcia su Roma (ottobre 1922) la sede di Umanità Nuova venne distrutta; molti anarchici vennero trucidati. Da segnalare anche la morte, in seguito alle feroci persecuzioni, del comunista Antonio Gramsci , che dopo anni di carcere ed un lungo soggiorno ad Ustica con Emilio Lussu, Terracini e Scocimarro morirà il 27 aprile del 1937 (arrestato il 22 ottobre 1926) e del giovanissimo Piero Gobetti, fondatore de La Rivoluzione Liberale e fautore dell’iniziativa libera e priva di ogni influenza autoritaria. Dopo aver subito massacranti percosse da parte delle squadracce fasciste e arrestato l’8 giugno del 1924, giorno della scomparsa di Giacomo Matteotti, morirà in Francia all’età di 25 anni.
4°- La caduta del fascismo (8 settembre 1943) apriva un capitolo nuovo della storia d’Italia e gli anarchici si distingueranno nella resistenza antifascista, sia individualmente, sia aderendo a organizzazioni non anarchiche, sia nell’ambito di organizzazioni spiccatamente anarchiche (Brigate BRuzi e Malatesta, Brigata Pisacane …). Dopo il crollo del regime fascista e la fine della seconda guerra mondiale, gli anarchici ricominciarono ad organizzarsi e a rendersi operativi alla luce del sole con la nascita di numerosi giornali libertari. Era Nuova a Torino, Il Comunista libertario e il Libertario a Milano, L’amico del Popolo a Genova, La Volontà a Napoli, L’Umanità Nuova a Roma.
Oltre alle storiche divisioni tra le varie correnti, il movimento anarchico italiano attraversò momenti difficili, soprattutto quando vide contrapposti i gruppi del Sud a quelli del Nord: i primi propugnavano un’azione in prevalenza propagandistica e la limitazione della presenza degli anarchici all’interno delle organizzazioni operaie; i secondi, poiché “nonostante la caduta del fascismo, l’impalcatura capitalistica non è stata intaccata”, sostenevano la continuità della “lotta antiborghese”, tanto che andranno a costituire la Federazione Giovanile Comunista Libertaria Alta Italia, che comporterà anche il passaggio all’anarchismo di alcuni giovani militanti comunisti, come forma di contestazione della politica del PCI di Togliatti.
A metà anni ’60 il movimento anarchico si divideva in tre tronconi principali: Gruppi Anarchici Federati, Gruppo Anarchico Giuseppe Pinelli, e Gruppi Anarchici Toscani.
Il risveglio e il fermento culturale delle masse, e la loro organizzazione più o meno capillare, unita alle rivendicazioni del movimento studentesco in cui la presenza anarchica ricopre un ruolo non secondario, preoccupavano non poco le oligarchie al potere, che si organizzarono per impedire qualsiasi conquista a carattere sociale.
La strategia reazionaria, riassumibile nella cosiddetta “strategia della tensione” gettava un’ombra oscura sull’Italia di quegli anni.
Nell’ambito di questo progetto reazionario, il 12 dicembre 1969 l’attentato terroristico di stampo fascista, passato alla storia come la strage di Piazza Fontana, segnava un momento drammatico della storia italiana e anche dell’anarchismo italiano. Gli anarchici, soprattutto la corrente individualista, furono, a volte,manovrati da infiltrati fascisti o delle istituzioni, in modo da indirizzare le loro azioni verso fini più congeniali alla restaurazione del potere o addirittura a favorire la fascistizzazione del Paese (emblematico il caso del fascista Mario Merlino, infiltratosi nel Circolo Anarchico 22 marzo, favorito dal fatto che in gioventù aveva frequentato i circoli anarchici).
Tutte queste manovre portarono, in tempi brevi, ad accusare gli anarchici Pietro Valpreda e il Pinelli di essere i responsabili della strage. Giuseppe Pinelli pagò con il suicidio-omicidio (defenestrazione) quelle infamanti accuse, mentre il primo dovette subire il carcere fino a quando le accuse rivolte contro di lui rivelarono tutta la loro infondatezza.
Il periodo della strategia della tensione, con le sue stragi (Bologna, Brescia, Italicus, Firenze…), si chiuderà con il sequestro Moro e il suo assassinio il 9 maggio 1978. Lo stesso anno anche Enrico Berlinguer durante una sua visita in Cecoslovacchia veniva fatto oggetto di un attentato in cui morivano due che lo accompagnavano in macchina all’aeroporto per il rientro in Italia. Tramontava così quel progetto politico, conosciuto come Compromesso storico, che avrebbe dovuto portare con l’ingresso dei comunisti, a governi di unità nazionale, sul modello dell’esperienza postbellica e postfascista.
Con la fine dei partiti che si richiamavano a ideali e valori di forte impatto sociale l’Italia ha subito una profonda involuzione democratica. I partiti di massa sono andati progressivamente assumendo i caratteri di partiti personali (Berlusconi insegna), il che ha prodotto tra i cittadini una diffidenza sempre più diffusa di credibilità sulla politica e sui suoi rappresentanti, tanto che l’astensionismo elettorale si fa sempre più preoccupante, favorendo la deriva di destra neofascista che governa con il 44% del consenso popolare espresso in Parlamento e che con sfrontatezza tende a smantellare la Costituzione repubblicana e antifascista (Autonomia differenziata, premierato, riforma della giustizia).
Gianni Murgia
Simbolo degli anarchici e bandiera
La A cerchiata è il simbolo più famoso di utto il movimento anarchico. La sua origine simbolica deriva dalla massima di Proudhom: “La società cerca l’ordine nell’anarchia”, e le due parole Ordine e Anarchia iniziano con O e A in tutte le lingue occidentali.
La bandiera rosso-nera è spesso collegata all’anarchia, anche se spesso la bandiera anarchica è semplicemente nera. La bandiera bicolore è divisa in diagonale: il nero può trovarsi in basso a destra, e il rosso in alto a sinistra, e viceversa.
La canzone degli anarchici italiani
Addio Lugano bella, o dolce terra pia, scritta da Pietro Gori nel gennaio del 1895. Gori, anarchico, fu accusato di essere l’ispiratore dell’assassinio del Presidente della Repubblica francese Sadi Carnot, in quanto avvocato difensore dell’omicida Sante Caseiro.