Scudetto 1970: il tricolore che avvolse un’intera isola
A quarant’anni dallo scudetto rossoblu del 1970, quattro eroi del Cagliari Campione d’Italia ricordano lo straordinario successo nel campionato di Serie A
Le emozioni giungevano in diretta tramite le voci di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Per le immagini, in bianco e nero, era necessario attendere “La Domenica Sportiva”. Un altro calcio, meno business e più sport, un altro Cagliari. Una cavalcata, quella rossoblù, che riempì d’orgoglio l’intera regione. È opinione di molti: «Quello scudetto vale più di dieci titoli di Juventus, Milan o Inter».
La festa per il quarantennale dello scudetto 1970 organizzata dal Centro coordinamento dei Cagliari club, condotta da Giorgio Ariu e svoltasi all’Hotel Setar nelle giornate del 10 e 11 aprile, ci ha regalato uno spettacolo indimenticabile. I sedici eroi della rosa Campione d’Italia 1969-70 hanno raccontato la storia di un trionfo unico e, chissà per quanto tempo ancora, irripetibile. Battute, sorrisi, aneddoti, ricordi: «Il segreto dei nostri successi è che ci volevamo e ci vogliamo bene – ha detto un commosso Gigi Riva – eravamo uniti, una cosa sola. Se toccavano uno di noi, tutti gli altri scattavano come una molla».
A quattro decenni dal trionfo, è bastato pigiare il tasto rewind per tornare velocemente indietro nel tempo. I protagonisti sono tutti qui, le vecchie emozioni sono ancora a portata di cuore.
I campioni ai nostri microfoni
Quattro interpreti di quello strepitoso campionato, nonché calciatori della nazionale che prese parte al mondiale del 1970 in Messico, ci hanno regalato le proprie sensazioni sullo scudetto e sulla festa del quarantesimo anniversario.
Secondo Enrico Albertosi, ex portiere rossoblu «se a distanza di quarant’anni i tifosi organizzano una festa come questa, alla quale sono presenti tutti i sedici protagonisti dell’impresa, senza dubbio abbiamo lasciato un ricordo indelebile nel cuore dei sardi». Angelo Domenghini, ala della squadra scudettata, parla di «grande emozione nel ritrovare i vecchi compagni di squadra per festeggiare ancora una volta, tutti insieme e dopo tanti anni, quel fantastico successo». Comunardo Niccolai, ruolo stopper e ricordato per l’involontaria propensione agli autogol, considera splendido incontrare i suoi ex compagni e ricorda ancora che «tutta la Sardegna festeggiò insieme a noi. Siamo orgogliosi di aver reso felice un intero popolo». Il libero di quella fantastica formazione, Pierluigi Cera, afferma che fu un evento straordinario e al contempo si rammarica perché «non ci fu il tempo per festeggiare adeguatamente la vittoria. Il mondiale del Messico non era lontano e ci siamo dovuti concentrare su quello».
Il mondiale messicano
È, invece, un ricordo in salsa agrodolce quello del mondiale sudamericano, come ricorda Domenghini parlando di «una bella avventura, macchiata solamente dalla sconfitta in finale contro il Brasile». Albertosi conferma che «fu un anno fantastico. Dopo lo scudetto, arrivare alla finale dei campionati del mondo con sei giocatori del Cagliari, significava che noi eravamo degli ottimi calciatori e che la nazionale italiana era competitiva a livello mondiale». Niccolai ricorda che l’infortunio dopo appena mezz’ora dal fischio d’inizio nella partita d’esordio, lo costrinse a partecipare al mondiale da spettatore. Cera, accettando sportivamente il verdetto del campo che vide l’Italia arrivare seconda, sottolinea che «per un calciatore essere protagonista di un mondiale, ancor più dopo aver vinto uno scudetto, è qualcosa di eccezionale. Purtroppo non per forza si arriva primi, ma partecipare ad una manifestazione del genere rappresenta una soddisfazione incredibile».
Il calcio che fu
Tutti concordi sulle profonde differenze tra l’atmosfera che si respirava in quel periodo sui campi e quella che caratterizza il mondo del calcio attuale. Albertosi parla di un calcio che «un tempo era puro divertimento. Ora tra sponsor, televisioni e i tanti quattrini che girano in questo mondo, lo sport si è trasformato in business. Noi da bambini ci avvicinavamo al calcio per gioco e questo stesso spirito lo avevamo dentro anche dopo essere diventati dei campioni». Gli fa eco Domenghini che parla di un calcio «meno esasperato, meno aggressivo, che esaltava i valori tecnici dei protagonisti in campo»; Niccolai etichetta quello moderno come «un calcio troppo parlato e poco giocato». Cera ricorda che «non esistevano i ritiri. Ci si ritrovava a mangiare tutti insieme il sabato a pranzo e a cena, poi ognuno dormiva a casa propria. Forse era proprio questo che ci consentiva di vivere il calcio in modo meno esasperato. La filosofia di Scopigno (allenatore del Cagliari Campione d’Italia, ndr) era quella di concedere ampia libertà e responsabilità, ecco il segreto del nostro successo».
Grandi campioni, che hanno scritto un grande messaggio d’affetto alla città di Cagliari e alla Sardegna intera. Con la consapevolezza e l’orgoglio di aver portato in alto il nome di un popolo reduce da decenni complicati e avari di soddisfazioni.
Luca Pes