Una folle Megamacchina fuori controllo ci sta portando a sbattere?
Perché siamo liberi, sì, ma all’interno di quell’infernale labirinto che lo studioso francese Jacques Ellul ha definito “Sistema tecnico”. Cerchiamo di individuare la natura delle nostre catene.
di Gianni Rallo
L’affollarsi di emergenze dovute a fattori al di fuori del nostro diretto controllo, rende la nostra quotidianità sempre più inquieta. Emergenze economiche, politico-militari, sanitarie, ecologiche ci hanno abituato a continui stati di preoccupata incertezza. Speriamo sempre, però, che la scienza e la tecnica, quando non la saggezza umana, possano aiutarci a venirne fuori. Ecco, appunto, la scienza e la tecnica: un’altra emergenza, a ben vedere. Infatti sappiamo tutti che lo stile di vita occidentale (quasi mondiale, ormai) è sempre meno eco e socio sostenibile: il consumo di energie fossili, i danni da estrazione di metalli, minerali, materiali per costruzioni (qualcosa, in tutto, come 50 miliardi di tonnellate annue), l’inquinamento dei mari (un’isola grande quanto la Francia galleggia minacciosa nell’Atlantico), la qualità sempre più scadente dei cibi, la crescente carenza di acqua potabile (per la quale sono previste sempre più guerre), etc., ci danno l’impressione di essere come in gabbia, fra l’incudine della consapevolezza delle dannate responsabilità umane e il martello dell’impossibilità di uscirne. Chi, infatti, è disposto a rinunciare alle innumerevoli e continue conquiste della tecnica che rendono così comode le nostre vite?
Già agli albori di questo fenomeno, dopo il boom economico, acuti studiosi hanno preso ad interessarsi a quando si profilava all’orizzonte, nel timore che ciò che stiamo vivendo si materializzasse. Jacques Ellul è stato uno di questi studiosi e il suo libro del 1977, Il sistema tecnico, è diventato un classico di riferimento per altri studiosi, come Serge Latouche, col suo La Megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso del 1995.
Senza addentrarci troppo nella complessità del loro pensiero, mi pare opportuno evidenziare alcuni concetti di fondo capaci di spiegare i motivi del nostro senso di impotenza e indicarci possibili vie di azione. La consapevolezza, essi dicono, è infatti imprescindibile se vogliamo tentare di cambiare rotta.
Innanzitutto, cosa significa sistema tecnico? É forse una novità che la tecnica abbia accompagnato da sempre il progresso umano nella storia? Certo che no, anzi la tecnica ha via via permesso all’uomo di raggiungere obiettivi di miglioramento e di maggiore dominio sulla natura: si pensi alla medicina, al lavoro, agli spostamenti, insomma a tutti i grandi cambiamenti – e spesso vere e proprie rivoluzioni – prodotti dall’uomo. Ma fino ad un certo punto della storia, sulla tecnica ha prevalso la volontà politica, il rispetto di qualche valore metafisico (chiamiamolo morale), la consapevolezza di poter distinguere tra ciò che si poteva fare e ciò che si voleva fare: volontà contro fatalità, cioè. La spiritualità, nelle sue forme religiose e, più in generale, trascendenti, condizionava ancora l’agire umano. Con la prima Rivoluzione industriale della metà del ‘700, però, insieme ad una nuova tecnica produttiva – chiamata sistema fabbrica -, comincia la sua corsa al potere anche la mentalità borghese insofferente ad ogni limite – concreto, morale o ideologico – ai nuovi orizzonti produttivi ed economici promessi dalla nascente industria.
Nel corso dell’Ottocento, con la seconda Rivoluzione industriale, si afferma così il sistema industriale che con la produzione di massa, i costi ridotti, la riorganizzazione sociale, delle infrastrutture, e grazie allo sfruttamento operaio, cambia definitivamente, nel mondo occidentale, la faccia della storia. Tuttavia la politica continua ad avere il proprio ruolo, scelte di tipo politico, etico e di miglioramento sociale continuano ad aver luogo, l’uomo – ora più padrone della natura – è ancora padrone delle proprie scelte, anche se spesso condizionate dai nuovi interessi economici (nascono, infatti, la pubblicità, il pagamento rateale, la catena di montaggio, il motore a scoppio, etc.) o da opposte ideologie politiche.
Occorre arrivare agli albori dell’era informatica, intorno agli anni Settanta, perché si possa concepire un sistema produttivo e di potere mondiale totalmente diverso da quello precedente. La nascente cablatura mondiale (vedi Internet, ma non solo) consente ai nuovi valori subentrati a quelli cristiani di affermarsi tendenzialmente su tutto il pianeta. Questi valori – includenti il profitto a tutti i costi, il “progresso” indefinito a spese di risorse non rinnovabili, la progressiva sostituzione del lavoro umano con la cosiddetta Intelligenza Artificiale, il benessere crescente per pochi (il famoso 1% di cui parla Chomsky) e la povertà e sottomissione per tutti gli altri – vedono nella tecnica la nuova indiscutibile religione alla quale inchinarsi. Da questo momento in poi l’intera società è interconnessa tramite la tecnica (si pensi a Facebook, Google, Amazon, le reti di distribuzione dell’elettricità, le reti amministrative pubbliche e private, le stazioni meteorologiche, le pipeline e i gasdotti, le strutture militari, la rete satellitare, etc.), ognuno di noi dipende da queste reti (e proprio oggi Google è andato in crash: panico generale, naturalmente), frutto, appunto, della tecnica.
Ma questa tecnica, sebbene appaia al nostro servizio, non ha altro fine che perpetuare se stessa, ogni limite diventa un ostacolo da superare, in un crescendo che perde sempre più senso e rischia di sfuggire al controllo di chiunque: l’obiettivo centrale di questa tecnica è, infatti, che “tutto ciò che può essere fatto sarà fatto, ogni nuova scoperta sarà utilizzata”. Nulla può fermare questo processo, indipendentemente dall’utilità effettiva per il benessere pubblico. O mi si vuole dire che, ad es., nella situazione in cui stiamo vivendo è assolutamente indispensabile possedere il nuovo modello di qualsiasi cosa ci impongano la pubblicità, la moda, i cosiddetti influencer di ogni specie? Anzi, e qui sta il punto, sempre più spesso questa “crescita” senza requie va contro il benessere pubblico: vedi l’acquisizione e la vendita dei nostri dati personali, vedi il pesante inquinamento per procurarsi i rarissimi metalli rari di cui sono fatti per la maggior parte i prodotti tecnologici, vedi la riduzione dello spazio a pattumiera per via delle migliaia di satelliti che orbitano a vario titolo intorno alla Terra (per il 5G ce ne vorranno altri 30.000, uno più uno meno), vedi la lenta morte dei mari, etc.
Ma noi non possiamo farci niente, siamo come in gabbia: la tecnica è diventata sistema, cioè ha interconnesso tutto diventando il nostro nuovo modo di vivere e bloccare questo sistema significa, perciò, non poter più vivere: come si vede, siamo noi stessi portati a non concepire più nulla al di fuori di una perenne “virtualità” che finiamo per scambiare con la nostra “vera” vita, virtualità al di fuori della quale ci aspetta un anonimato e non riconoscimento altrui che non sappiamo più sopportare. Ecco cos’è il sistema tecnico di cui parla Jacques Ellul, mentre Latouche, intendendo la stessa cosa, parla di una Megamacchina che macina tutto e di cui noi siamo gli involontari ingranaggi.
Anche la scienza, perciò, un tempo capace di applicarsi anche alla conoscenza fine a se stessa, deve operare dietro le indicazioni operative della tecnica che nella sua cieca corsa crea problemi che quella che oramai deve chiamarsi tecnoscienza deve applicarsi a risolvere, spesso peggiorandoli e/o creandone altri, in una spirale infernale senza altro scopo che quello di espandersi e diventare il Verbo universale, indiscutibile, obbligatorio (al quale i Tribunali della Nuova Inquisizione offrono ottusa protezione). Ecco perché si può dire che una tecnica così intesa non è, per definizione, culturalmente inclusiva, cioè non può tollerare culture diverse da quella occidentale, certa com’è di essere superiore a tutte le altre. In questa condizione, va da sé, non la pace ma le guerre sono la sola certezza (guerre condotte, tra l’altro, sotto l’egida di sofisticate tecniche di morte di cui noi, comuni mortali, poco sappiamo (ivi comprese le armi batteriologiche, di cui abbiamo, però, sconcertanti “assaggi”).
In un simile contesto non appare inverosimile che si costituiscano stretti intrecci tra tecnica, economia e politica. L’economia infatti ha bisogno della tecnica e a sua volta, grazie al fattore denaro, è indispensabile alla tecnica stessa, mentre la politica, ridotta a miserabile ingranaggio di questa mostruosa macchina totalitaria non può che obbedire alle sue istanze, se vuol mantenere la sua traballante poltrona. Che fine fa allora la democrazia intesa come libertà di scelta, che fine fa l’insegnamento – questo delicatissimo meccanismo di passaggio di consegne tra passato e futuro – ridotto a piatta didattica a distanza, che fine fanno l’amore o i momenti di divertimento ridotti ad avvilente atto meccanico, che fine fa il nostro profondo bisogno di fede di fronte ad un nuovo dio che non tollera altro dio all’infuori di sé? A tal proposito, questi studiosi rilevano che questa Megamacchina non è però affatto identificabile con tutta la società umana, la quale resta imprevedibile, soggetta alle passioni e ai dubbi, alla fantasia e alla creatività: da qui il nostro grande disagio ma da qui anche uno spiraglio per un possibile cambiamento di rotta. Quella Macchina non siamo dunque noi, che siamo invece le sue pedine, ma pedine pensanti. Pensanti, se Dio vuole.
Qui, tiranno lo spazio, devo fermarmi ma vi prego di non prendere questo argomento come uno dei tanti riguardanti l’attualità: non vi è, in verità, altro argomento che possa sottrarsi a queste considerazioni, perché è la nostra stessa sopravvivenza come uomini liberi e spirituali ad essere in pericolo, non si può continuare ad aspettare per vedere come va a finire né a lasciarsi raccontare le cose da altri, magari pensando che alla fine tutto si risolverà. Ma CHI lo farà?
Bibliografia essenziale:
Ellul Jacques, Il sistema tecnico, Jaca Book, 2009
Ellul Jacques, Le bluff technologique, Pluriel, 2017 (pdf in italiano reperibile in rete)
Latouche Serge, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri, 1999
Latouche Serge, La Megamacchina, Bollati Boringhieri, 1995
Latouche Serge, La fine del sogno occidentale, Elèuthera, 2015
Fisher Mark, Realismo capitalista, Nero 2018
Serres Michel, Il contratto naturale, Feltrinelli, 1990
Mazzocco Davide, Cronofagia, D editore, 2019
Galibert Jean-Paul, I 7 princìpi dell’ipercapitalismo, Banda aperta, 2015