Vulcano intervista i candidati consiglieri: Giacomo Porcu (Sardegna in Comune)
di Francesca Matta
Perché ha scelto di candidarsi e perché gli elettori dovrebbero votare il suo candidato Presidente?
La mia esperienza politica inizia quasi quattro anni fa, quando son stato eletto sindaco di Uta con una lista civica fatta di donne e uomini tutti alla prima esperienza, che hanno deciso di provare a mettersi in gioco per dare soluzioni alle problematiche del nostro paese che da anni venivano avvertite dai cittadini. Con quello spirito ci presentiamo anche oggi nella coalizione che sostiene Massimo Zedda, Sardegna in Comune. La nostra è la lista degli amministratori, è una politica del fare. Abbiamo scelto di sostenerlo perché abbiamo visto in lui una grande concretezza nel lavoro svolto a Cagliari che l’ha portato ad esser stato rieletto a furor di popolo per un secondo mandato. La grandissima concretezza della Città Metropolitana, ad esempio, che ha abilmente guidato in questi primi tre anni di vita e ha portato già grandi risultati per i comuni che ne fanno parte. Quindi forti di quell’esperienza pensiamo che sia lui a poter cambiare le sorti della Regione. Non facendo promesse mirabolanti, non facendo alti ragionamenti filosofici, ma andando a puntare su un programma concreto, realizzabile per poter consegnare ai sardi, nell’arco di una legislatura, una Regione migliore, con veri servizi a dimensione umana e di livello europeo.
Lavoro: ci illustri il vostro programma.
Il lavoro è al primo posto del nostro programma elettorale: l’opportunità di lavoro che deve essere un lavoro duraturo, ben retribuito e di qualità. Le false promesse oggi stanno a zero. La Sardegna in realtà è una regione che ha grandissime opportunità di lavoro, grandissime potenzialità nei suoi giovani e vanno ricercate in tutti i meandri in cui si articola l’attività economica. Uno su tutti è l’investimento in infrastrutture pubbliche, la riorganizzazione della pubblica amministrazione, in ambito sanitario, istruzione, e nel settore agroalimentare. Il filo conduttore deve essere la grande capacità e la valorizzazione delle eccellenze dei lavoratori presenti. Non si può pensare oggi a un lavoro di ripiego che non sia portato poi a creare un valore per tutta la comunità: un esempio banalissimo, tante volte si riescono a recuperare dei finanziamenti della Comunità europea, ma le strutture non sono adeguate a rispondere a quell’esigenza normativa e operativa che potrebbe mettere in campo quel tipo di lavoro. E poi ci lamentiamo che ci sono tanti ingegneri “a spasso” che non riescono a mettere in piedi la loro esperienza. Altro esempio è quello legato alla continuità fra percorsi universitari formativi e l’introduzione dei posti di lavoro. Ragionare in termini di presalario nel percorso lavorativo può essere un modo importante per rapportarsi. Altro punto fondamentale: la riqualificazione infrastrutturale della nostra regione, che ha bisogno di interventi radicali che possono creare opportunità di lavoro legate alle maestranze e alle figure professionalmente più preparate. Dell’amministrazione non vediamo solo gli enti locali, ma anche gli enti intermedi: di coordinamento, di studio e di supporto agli enti locali, alle imprese. Quindi, anche in questo caso, la possibilità di investire su innovazione, ricerca, perché quelli son gli ambiti in cui possiamo essere concorrenziali rispetto all’estero e al resto d’Italia, mantenendo nel lungo periodo questi standard lavorativi, che non si devono ridurre solo ed esclusivamente ai giovani, ma avere anche un occhio di riguardo agli inoccupati e i precari. Anche il settore agroalimentare è fondamentale, perché se ne potrebbero generare tante opportunità se studiate bene, facendo nascere anche professionalità importanti: dal marketing allo studio e alla ricerca. E’ una risposta che non può avere un solo cardine, ma nasce da un intreccio di rete di tanti settori che coinvolgono la nostra regione e la nostra società.
Opere Pubbliche: cosa non va in Sardegna e cosa intendete proporre di nuovo?
Un dato semplicissimo per capire quanto fondamentale e strategico sia: il tasso di infrastrutturazione della Regione Sardegna è molto più basso del tasso medio di infrastrutturazione del Meridione, per non parlare di quello del Centro e Nord Italia. Da lì si deve partire, dando risposte allo spopolamento, che non possono esistere se non si ha la possibilità di spostarsi con una mobilità adeguata sia lavorativa che di svago. Investire in opere pubbliche vuol dire spendere denaro, creare opportunità di lavoro, riconoscere diritti. L’investimento dell’infrastruttura e di tutto il patrimonio pubblico, fatto di migliaia di edifici che oggi non sono utilizzati e andrebbero invece ristrutturati. Le infrastrutture fondamentali sono anche quelle dei ponti, che oggi hanno una vita media di 50 anni e hanno esaurito il loro ciclo di vita. Grossi investimenti per la messa in sicurezza che potrebbero generare anche l’ingaggio di figure professionalmente qualificate e di maestranze. Come pensare ad un turismo che non abbia adeguati porti, aeroporti che consentano di attrarre flussi di trasporti che si prevedono più che raddoppiati da qui al 2030: ci sono agende europee che questi numeri li certificano e danno dei riscontri. Quindi la possibilità di essere un attrattore di flussi e generare ricchezza e economia. Necessità di investire in infrastrutture per servizi pubblici essenziali: un progetto di grandissimo successo è il progetto Iscol@, per cui si è scelto di investire nelle infrastrutture scolastiche per creare ambienti in cui i ragazzi possano crescere e far formazione in ambienti adeguati alle sfide che li attendono.
Politiche giovanili: come sarà possibile arrestare la fuga dei nostri giovani e come promuovere occupazione e formazione?
Le politiche giovanili sono legate principalmente al percorso formativo che possa portare poi a un inserimento nel mondo del lavoro. Questo non può essere fatto se non si parte da un forte investimento scolastico. In Sardegna 5 ragazzi su 6 terminano il corso di studi obbligatori, ma dovrebbe essere il cento per cento se vogliamo essere una regione di alto livello; un ragazzo su cinque si laurea. Sono due elementi che ci devono far riflettere. Formazione di qualità, innovazione, formazione continua e percorsi che possano innestarsi insieme alle aziende per crearsi poi quelle opportunità di lavoro. Accesso alla cultura che vuol dire anche valorizzare la nostra cultura e il nostro patrimonio culturale. Accesso alle carriere, attraverso un sistema di formazione costante che dia la possibilità di avere interscambi, di fare esperienze all’estero e realizzare la propria carriera lavorativa in loco. Spesso ci troviamo delle aziende private che vengono a investire nel nostro territorio, nella pubblica amministrazione vediamo delle figure apicali che vengono da fuori. Questo non è né un diritto né qualcosa di cui sconcertarsi, ma sarebbe bello anche riuscire a dare queste opportunità ai nostri giovani o creare le opportunità perché si possano realizzare queste esperienze oltre Tirreno. Le opportunità per le politiche giovanili devono essere quelle di un’acquisizione totale di diritti quindi di pensare anche ad una mobilità all’interno del territorio che tenga nella giusta considerazione le fasce più giovani. Un progetto “under 30” che consenta una gestione dei finanziamenti e di agevolazione ad hoc che rientrano in questa fascia d’età in ordine alla mobilità, la possibilità di accedere a corsi di formazione, le proposte culturali, attività sportive. Le politiche giovanili devono partire dalle istanze dei ragazzi, le consulte scolastiche, gruppi universitari, che sono fondamentali per creare un terreno di prova e innovazione.
Continuità territoriale: siete soddisfatti di quella attuale? Come migliorarla?
Il diritto alla mobilità è un diritto riconosciuto costituzionalmente, precondizione per poterne avere altri: diritto alla salute, al lavoro, allo studio, a vivere delle esperienze. Come coniugarlo? Con fatti concreti: gli esempi sono tantissimi e sono anche a portata di mano, dalla Spagna alla Francia. Bisogna rivedere innanzitutto quelli che sono i rapporti con l’Unione Europea per evitare che si blocchi di fronte agli aiuti di Stato e che in realtà è il riconoscimento di un diritto. La possibilità di rivedere in maniera globale le tratte da agevolare perché il diritto alla mobilità per un sardo non si limiti a Roma, Milano e altri pochi scali. Ma dev’essere un’interconnessione con tutte le altre città e punti importanti della nostra nazione e non solo. Bisogna quindi rivedere i rapporti con la Comunità europea, l’articolazione del servizio e dei collegamenti in essere. Investimento anche nell’infrastruttura aeroportuale. Si stima una crescita di circa 400 milioni di soli cinesi da qui ai prossimi decenni e pensare di non poterli attrarre qua in strutture adeguate e servizi adeguati viene un po’ complicato da ragionare. Noi dobbiamo essere un player all’interno dei flussi, di transito turistico, ma dobbiamo essere anche protagonisti nella nostra libertà d’azione e di movimento. Una continuità che dev’essere anche marittima, ci sono 73 milioni di euro relativi al servizio che vanno rivisti nella loro spendita per agevolare le merci perché è vero che abbiamo bisogno di una tariffazione di vantaggio ma se riuscissimo anche a creare le condizioni economiche per poter affrontare determinati costi in maniera del tutto agevole, andrebbe anche meglio. Infine, la continuità territoriale può essere potenziata nei mesi di stagione turistica ma dev’essere garantita a tutti i cittadini in base alle loro esigenze.